Il cantante. Sting: «Salvato dalle insidie del successo»
Sting, nome d’arte di Gordon Sumner, ha pubblicato l’album di successi “My songs”. Il 29 luglio suonerà a Lucca, il 30 a Padova
«Se devo essere sincero non mi sono mai pensato come un’icona: del resto i miei figli non si sono mai inginocchiati davanti a me, e glielo posso garantire nel modo più assoluto » . Sting ride, quando gli si chiede se abbia mai perso di vista sé stesso e il suo vero sé a nome Gordon Sumner a causa del successo dell’icona rock, per lui presunta, di nome Sting. Ride, ma di certo è sincero. Visto che, a Milano per lanciare nuovo disco e date italiane del tour, si presenta disponibile e sorridente come non capita tanto spesso ai giganti del rock, pronto a colloquiare amabilmente su qualsivoglia tema, dalle canzoni all’ambiente da difendere: col suo fare british, trattenuto ma sempre gentile, quel fisico asciutto degno di un trentenne (faccenda non male avendo Sting 68 anni), un’eleganza sobria nel vestire che fa il paio con la classe raffinata della sua musica. Per il 2019, anno 43 di una carriera iniziata coi Police nel ’76, l’artista britannico ha deciso di regalare ai fan My songs, antologia di successi rivisitati che va dall’assorto capolavoro Shape of my heart a bei recuperi come Demolition man o So lonely, ovviamente transitando per hit quali Every breath you take e Message in a bottle. My songs viene edito, su cd come su vinile, in due versioni. Una con i 15 brani base scelti da Sting per nuovi arrangiamenti, l’altra deluxe con sei brani in più: cinque live dall’Olympia di Parigi e un’extended version di Desert rose remixata. E con My songs Sting è già pronto a una tournée mondiale con band sia elettrica che rock, che sarà anche in Italia il 29 luglio al Lucca Summer Festival e il 30 a Padova, nell’Arena Live@Gran Teatro Geox. Nel 2020, infine, My Songs si fermerà per una lunga tenitura a Las Vegas: come capita, ai grandi show.
Lei non si definisce un’icona: chi è dunque Sting oggi? e davvero non ha mai perso di vista Gordon?
Sono un padre, un nonno, un marito, un cittadino. Con un lavoro, certo, che si svolge sul palco e prevede delle apparenze: se preferisce delle illusioni, anche. Ma resto me stesso perché mi affido alle cose concrete e non porto mai il lavoro a casa, non confondo e credo di non aver mai confuso i due piani della mia vita.
Oggi è più soddisfatto di sé, rispetto a ieri?
Oggi credo di essere nel momento più eccitante della mia carriera, sì. Mi sento finalmente obiettivo sulle cose, so lavorare duro, credo di capire cosa sia rilevante esprimere in musica: cosa abbia valore per l’oggi anche socialmente, oltre che emotivamente. Mi sento molto vivo, molto presente nella mia vita.
Con My songs rilegge però il passato: che cosa l’ha spinta a farlo?
Non un’agenda. Mi chiesero di suonare Brand new day a Times Square per via del suo messaggio ottimista, e lavorando alla base su cui avrei cantato lì ho pensato di cambiarla, di rendere il pezzo (che è del ’99, nda) più contemporaneo e incisivo. Facendolo, mi sono divertito tanto che l’ho fatto anche con altri brani, trovandomi con un album nel giro di qualche giorno.
Cosa cambia esattamente fra vecchie e nuove versioni?
Credo che adesso queste mie canzoni siano migliori, più definite. Ho idee più chiare come produttore e una voce molto più interessante di quella dello Sting di venti o trent’anni fa. Vede, quando si registra un inedito è la prima volta che lo si canta, non lo si conosce davvero. Suonandolo invece poi giorno per giorno, concerto per concerto, il rapporto con esso diviene più ricco: perché una canzone è qualcosa di organico, vivo, non un pezzo da museo o una reliquia.
Non si è mai stancato dunque, per dire, di Roxanne?
Anzi. Il mio lavoro è trovare qualcosa di nuovo sera per sera in ogni mia composizione. E anche se a volte sono cambiamenti impercettibili, è quello lo scopo del far musica per me: con la stessa passione, lo stesso entusiasmo, la stessa curiosità di quando la musica la creo. Con le canzoni è come un matrimonio: ogni giorno devi lavorarci su per tenere il rapporto fresco.
Brand new day, che parla di paure da fine millennio, sembra molto fresca, nel 2019: purtroppo…
Sempre tento di tener viva la speranza, cantando. Quel brano è ottimista, ma dobbiamo essere ottimisti. Anche se è molto difficile resta decisivo.
Cosa teme di più ora, per esempio, del molto che cantava già nel ’93 in If I ever lose my faith in you?
Quello è un brano molto complesso, in cui non dicevo tanto ciò in cui credevo o meno, segnalavo invece altre cose che sentivo arrivare. Ed è risultato profetico: malapolitica, commercio di armi, tecnologia che ci domina, inquinamento. Oggi vedo troppa malizia politica (Sting usa un termine inglese che significa malizia ma anche dolo e non pare casuale, ndr): la politica comunica tramite i social media in un modo che ha cambiato in peggio come la gente riceve notizie o informazioni. Non si riesce a capire dov’è il vero.
Secondo Sting l’artista ha dei doveri sociali?
Non amo generalizzare, posso rispondere solo per me… Ho sempre avuto coscienza sociale, sento di avere una voce mia e di possedere opinioni autonome, dunque quando scrivo o canto le esprimo. Non credo però sia un dovere dell’artista. Certo, sento sempre l’esigenza di dire la mia sui diritti umani, sull’ambiente sulla cui protezione dovremmo capire di unirci tutti. E quando scrivo non posso non confrontarmi con una crisi che, a troppi livelli, si sta vivendo ovunque.
Cos’è dunque la musica per lei? Terapia?
Naturalmente, eccome. Forse direi addirittura che è la mia religione. Non posso immaginare la mia vita senza, anche quando ho fatto altro che mi ha dato soddisfazione sono sempre rimasto un musicista. E sono grato di questo, di aver avuto nella mia esistenza la musica e queste mie canzoni.
Anche se una volta disse che il suo periodo di maggior successo era stato il suo momento più infelice?
Vede, non credo sia vero dire che il successo rende felici. In realtà il successo amplifica i problemi e devi fare un passo fuori da esso per non trovarteli ingigantiti e riuscire invece a risolverli. Il successo rende tutto peggiore, più difficile. Anche se io penso di essere sopravvissuto a tutto questo: e, se posso aggiungere, direi anche largamente.