Four kids keep me laughing! «Quattro figli mi tengono allegra» si legge sull’account twitter di Mariana Mazzucato, a dimostrazione di quanto sia possibile conciliare carriera e famiglia. Se ne è andata dall’Italia a cinque anni per seguire il papà padovano, che era fisico nucleare a Princeton, e da allora vive nel mondo anglosassone (attualmente è full professor in economia dell’innovazione all’Università del Sussex in Gran Bretagna). Da poche settimane è uscito il suo libro più impegnativo -
The Entrepreneurial State. Debunking Public vs. Private Myths in Risk and Innovation (
Lo Stato imprenditore. Il mito della contrapposizione 'pubblico- privato' in tema di rischio imprenditoriale e innovazione), Anthem Press, che in primavera verrà tradotto da Laterza. Di cosa tratta? Delle migliori esperienze d’investimenti pubblici, in grado d’attivare le energie più vitali e stimolare la crescita. Il libro parla soprattutto degli Stati Uniti e delle loro politiche in tema di sviluppo, mettendo in evidenza l’importanza del contributo pubblico nel successo di colossi come la Apple: a giudizio dell’autrice, infatti, senza ingenti investimenti governativi (soprattutto federali) non ci sarebbe stato il riconoscimento vocale Siri, gli schermi
touch, il Gps, e molto altro ancora. Del resto Internet stesso, in origine, era una rete militare: lo sanno tutti, ma spesso ce lo dimentichiamo. «Il motore di ricerca di Google - annota l’autrice - deriva da un progetto della Nsf, la National science foundation, che negli Stati Uniti corrisponde grossomodo al Cnr italiano. Così come la maggior parte dei farmaci più efficaci negli Usa nascono dal lavoro del National institutes of health (detto fra parentesi, lo Stato in America spende 32 miliardi di dollari all’anno in ricerca applicata alla medicina)». Naturalmente le politiche per lo sviluppo devono es- sere diverse a seconda dei contesti economici: nelle economie occidentali, sono efficaci le ricette a elevato contenuto tecnologico (i cosiddetti settori capital intensive) perché il costo del lavoro è molto più elevato che nelle economie emergenti, che, per ragioni speculari, possono agire sulle filiere labour intensive e sui fattori di dumping salariale. Ma questa non è materia controversa; si discute invece sull’opportunità e sugli effetti reali dei tagli alla spesa pubblica, e sul punto la Mazzucato ha idee diverse dai guru liberisti: «Non a caso 'Forbes', la rivista finanziaria più glamour, mi ha definita eretica» dice sorridendo dalle pagine del suo blog. Tuttavia le sue posizioni non sono proprio solitarie: uno studio del Fondo monetario internazionale, pubblicato nel dicembre 2012, ha messo in evidenza (e quantificato) gli effetti recessivi della politiche dell’austerità nei paesi Ocse. Infatti, parlando di politiche per lo sviluppo troppo spesso si porta l’attenzione unicamente sulla pressione fiscale, che naturalmente ha la sua importanza. Ma non è l’unica cosa importante: come spiega in modo convincente
Entrepreneurial State, lo è in pari misura (e forse superiore) la 'qualità' della spesa pubblica. Gli Stati Uniti hanno degli interventi pubblici molto bassi in campo sociale; non è altrettanto noto, invece, la mole degli sforzi pubblici nelle politiche industriali. La tesi del libro è che questo sia d’importanza decisiva nel successo economico americano: esserne consapevoli dovrebbe essere il
driver delle politiche anti-congiunturali di cui hanno bisogno le nostre economie in questo momento. «Ne sono tanto convinta - dice ancora la Mazzucato - d’aver proposto al governo inglese in carica, di cui sono consulente, d’introdurre incentivi allo sviluppo come quelli americani, con il vincolo però di trattenere, per via fiscale, una quota dei profitti che ne derivano per destinarli di nuovo alla spesa in ricerca scientifica e capitale umano. Gli Stati Uniti invece hanno socializzato il rischio dell’innovazione e privatizzano i profitti: in Europa non dobbiamo commettere lo stesso errore». E veniamo allora alla questione cruciale: dalla lettura di questo volume si possono desumere le politiche che andrebbero adottate oggi in Italia? Si può rispondere affermativamente senza grandi forzature. Senza dubbio, sarebbe profittevole un massiccio investimento in ricerca: non dimentichiamo che il Trattato di Lisbona indica il 3% del Pil come soglia 'virtuosa' per le società europee (l’Italia è ben al di sotto, anche perché ha una spesa pubblica enorme per altre voci e deve al contempo rispettare i vincoli di bilancio imposti dall’Europa quanto a deficit pubblico e debito). In parte manca l’apporto pubblico, ma soprattutto è inferiore alla media europea il contributo privato alla ricerca. Ciò è dovuto soprattutto alle piccole dimensioni delle aziende che raramente hanno in sé una divisione 'ricerca & sviluppo'. Su quest’ultimo aspetto si dovrebbe lavorare per mettere meglio 'a sistema' l’esperienza dei parchi tecnologici, che non hanno dato ancora i frutti attesi. In termini ancora più specifici, si deve sottolineare il ritardo che il nostro Paese ancora registra nelle misure di agevolazione a favore dei
venture capitalists, vale a dire dei 'capitani di ventura' del nuovo millennio, che hanno ottime idee ma non le risorse per realizzarle. Uno Steve Jobs, in Italia, non avrebbe avuto alcuna possibilità di vedere premiata dalla sorte il suo talento e la sua disponibilità al rischio. La
Silicon Valley è un 'incubatore' in cui nascono in continuazione cento, mille Olivetti. In Italia ce n’era una, ed è morta in modo molto triste.