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SCIENZA. Starnuto, etcì, un tuono di salute

Andrea Galli domenica 3 luglio 2011
Alle 7.15 di sabato scorso a Winterport, nella contea di Waldo, nel Maine, lungo la via principale del paese due auto si sono scontrate frontalmente, per fortuna senza conseguenze gravi. Stando al verbale della polizia, la causa dello schianto è stato lo starnuto improvviso di uno dei conducenti, che l’ha fatto sbandare sulla corsia opposta. Poteva andare peggio il 16 giugno anche a una donna finita contro una parete rocciosa a Hamlin, nello Stato di New York, rimasta ferita fra le lamiere, pure lei uscita di strada a causa di una serie di incoercibili starnuti. Idem per l’uomo che a gennaio, sempre per uno starnuto, ha causato un maxi-incidente vicino a San Luis Obispo, in California. Incidenti singolari, si dirà, ma non così infrequenti come sembra. Secondo una ricerca commissionata nel 2008 da una compagnia di assicurazione inglese, il 7% degli automobilisti del Paese avrebbe avuto un incidente, l’avrebbe sfiorato o avrebbe perso per un attimo il controllo della guida a causa di uno starnuto. Un pericolo che, secondo Brian Lipworth, professore di medicina respiratoria alla University Medical School di Dundee, in Inghilterra, non va sottovalutato, se si pensa che starnutire mentre si viaggia alla velocità di 115 km orari può vuol dire percorrere anche 90 metri con gli occhi chiusi. E se nella stagione primaverile a essere a rischio sono coloro che soffrono di allergie o sono ipersensibili ai pollini, in estate c’è un’altra categoria vulnerabile: gli affetti da una sindrome tanto diffusa quanto poco nota, ossia la sindrome di Achoo (acronimo dell’inglese Autosomal Dominant Compelling Helioophthalmic Outburst), che rappresenta anche un piccolo mistero dell’otorinolaringoiatria.L’umanità, almeno il suo ceppo caucasico, si divide infatti in due per via dello starnuto. La maggioranza starnutisce in modo simile a quello di molti mammiferi, ossia per la stimolazione dei recettori del nervo trigemino nel setto nasale da parte di sostanze come polveri o agenti virali. Una minoranza, che gli specialisti stimano tra il 15% e il 30%, lo fa invece anche o soprattutto passando dalla penombra a un ambiente illuminato, o per l’esposizione a una luce più o meno intensa. Una reazione che è spesso fraintesa da chi mai si sognerebbe di essere soggetto ripetutamente a esplosive emissioni d’aria guardando il cielo soleggiato o un neon sul soffitto, e su cui è la stessa scienza a interrogarsi. La cosa incuriosì già gli antichi. Aristotele si era chiesto come mai uno starnuto potesse essere causato dal sole, sospettando che il motivo fosse un riscaldamento delle fosse nasali.Spiegazione fuori bersaglio, come intuì Francis Bacon 18 secoli dopo: bastava chiudere gli occhi per evitare l’inconveniente. La medicina ha cercato dagli anni ’50 di capire le cause di questo bizzarro fenomeno, catalogato dalla fine degli anni ’70 appunto come sindrome di Achoo o più comunemente come starnuto riflesso fotico. La teoria più accreditata è che si tratti di una disfunzione congenita – i geni responsabili non sono stati tuttavia ancora individuati – e che comporti una sorta di cortocircuito dei segnali nervosi del nervo ottico, che controlla la regolazione della retina, e del nervo trigemino, da cui dipende lo stimolo dello starnuto. L’anno scorso però tre ricercatori del dipartimento di neuropsicologia dell’Università di Zurigo – Nicolas Langer, Gian Beeli e Lutz Jäncke – hanno pubblicato i risultati di una serie di una serie di test con elettroencefalogramma che dimostrerebbero come a causare il tutto sia un’ipersensibilità della corteccia visuale, la regione cerebrale preposta all’elaborazione dell’impulso visivo. Si tratta di un campo di ricerca certo marginale, ma che ha attirato via via l’interesse di ambiti disparati: dall’aviazione americana, che ha promosso uno studio pubblicato nel ’93 sulla rivista Military Medicine, sui rischi dello starnuto fotico per i piloti di caccia, per i quali anche la distrazione di una frazione di secondo potrebbe essere fatale in certe manovre, agli istituti che si occupano di malattie neurologiche, come il laboratorio di neurogenetica dell’Università della California. Louis Ptácek, il suo direttore, fu instradato allo studio di patologie "marginali" quando, ricercatore all’Università dello Utah, incontrò una giovane donna preda di paralisi in seguito a sforzi fisici, affetta cioè da Paralisi periodica iperkaliemica, una grave malattia che colpisce 1 su 100.000 e di cui riuscì a individuare il gene mutante che ne è la causa. Oggi si occupa tra le altre cose anche dello starnuto fotico nella speranza che possa gettare luce su altre malattie ben più problematiche, dall’epilessia all’emicrania, i cui attacchi possono essere innescati da fasci di luce. Uno di quei casi in cui dallo starnuto potrebbe arrivare come risposta «Salute!» in senso letterale, non solo come modo di dire.