Agorà

Intervista. Staglianò rilegge Sanremo, tra pop e teologia

Massimiliano Castellani martedì 19 febbraio 2019

Il vescovo di Noto don Tonino Staglianò assieme ai suoi giovani della “pop-Theology” (Paolo Manenti - Diocesi di Noto)

La rilettura personale della kermesse canora da parte di don Tonino, vescovo di Noto e teorico della “pop-Theology” «La storia si ripete. Come lo scorso anno, anche Sanremo 2019 ci ha lasciati un po’ perplessi sul vincitore... Molti di noi, ultra cinquantenni, si aspettavano trionfasse Abbi cura di me di Simone Cristicchi, così come Sanremo 2018 si era sicuri dovesse vincerlo Che sia Benedetta di Fiorella Mannoia (seconda). Cristicchi solo 5°, dietro alla canzone, “modesta”, di Loredana Bertè, che, almeno risorge finalmente dalle proprie ceneri, come l’Araba fenice. È stato fin troppo facile percepire che su tutto questo ci fosse qualcosa di “costruito”...». Parola di un critico musicale fuori dal coro: don Tonino Staglianò, il vescovo di Noto, nonché “ideologo” riconosciuto, discusso e comunque assai amato dai giovani - della “pop-Theology”. Un “predicatore canoro” don Tonino, e chi frequenta la Santa Messa che officia nella cattedrale di San Nicolò sa bene che tra una lettura e un’omelia può intonare e far partire il coro sulle note di Esseri umani dell’amato («uno dei molti cantanti a me cari») Marco Mengoni. Il cantautore di Ronciglione è stato uno degli ospiti del 69° Festival, sul quale, una settimana dopo, don Tonino vorrebbe offrirci una sua «personalissima rilettura».

Domanda per e da neofiti: ma la filosofia pop-theologica come si pone dinanzi alla musica sanremese?
La teologia è scienza, è esercizio critico intensivo della ragione. Deve perciò fare molto, molto di più: penetrare con intelligenza (intus legere, leggere dentro) la grammatica musicale e seguire attentamente la sintassi canora. Le canzoni, e non solo, tutto lo show televisivo, pronunciano i loro discorsi, stabiliscono le loro tesi, organizzano i loro valori umani o comunicano anche “dis-valori”, ovviamente perché percepiti e interpretati come nuovi valori.

Però alla fine della gara gli unici valori emersi sono stati quelli negativi, vedi le decisioni assai controverse delle giurie e del televoto.
Sinceramente trovo singolare che a vincere il Festival sia stata proprio la canzone Soldidi Mahmood... Ma a bocce ferme, lo ritengo un verdetto giusto... «Ti sembrava amore, era altro», canta Mahmood, perché non c’è amore quando si sta con l’altro solo per «soldi, soldi, soldi» (accenna divertito don Tonino). D’altronde, Gesù venne venduto per trentatré denari. Se è vero quello che dice Mahmood, l’umanità di oggi deve aprirsi all’umanità di Gesù per riscattare l’amore vero, e Gesù può essere predicato, attraverso la testimonianza. E io uomo, come Nek «mi farò trovare pronto» ad accoglierla e a viverla: dobbiamo essere uditori e testimoni di questa Parola del Dio-agape.

Uno dei temi centrali è stato il pericolo e la dipendenza delle ultime generazioni digitali, cadute, e spesso perse, nella Rete.
Connessi nel web e sconnessi alla realtà, i giovani di oggi non comunicano tra loro. «La Rete non piglia pesci, incatena noi», ha giustamente sottolineato Enrico Nigiotti nella sua bella canzone, Nonno Hollywood, dedicata alla saggezza dei nonni.La ricchezza sta nel semplice. La critica all’impotenza educativa dei genitori mi è parsa ancora più cruda e reale in Argentovivo di Daniele Silvestri che descrive il suo sedicenne così: «L’avete messo da solo davanti allo schermo e adesso vi domandate se sia normale se il solo mondo che apprezzo è un mondo virtuale». Cos’è l’inferno? Ciò che è specchiato dall’apparecchio che ho in tasca, «dove viaggio, dove vivo, dove mangio», gli fa eco il suo adolescente “interpretato” dal rapper Rancore.

A proposito, cosa ne pensa della calata massiccia dei rapper su Sanremo?
Sono cresciuto ascoltando stili più melodici, perciò il rap e la trap faccio fatica a comprenderli fino in fondo. Ma devo, dobbiamo accettare, il dato di fatto che ai ragazzi questo genere piace e la sua forza linguistica e la capacità poetica che ha il rapper di piazzare tanti argomenti all’interno di una singola canzone è molto interessante, anche per l’osservatorio della pop-Theology.

E del “caso” Achille Lauro invece che idea si è fatta?
Con Rolls Royce Achille Lauro ci provoca con il suo “C’est la vie”. Ma formula anche la preghiera: «Dio ti prego, salvaci da questi giorni». Anche se parla di gente morta per problemi di droga e del disagio della sua generazione ripiombata pesantemente nelle dipendenze, c’è uno spiraglio di speranza nella canzone di Achille Lauro quando invoca la trascendenza. Perciò il suo messaggio mi interessa. Trovo invece meno interessante questa svolta stilistica di Arisa che si è allontanata dalla positività di Controvento in cui diceva l’esatto contrario di questo menefreghismo sbandierato in una poco sincera Mi sento bene. Canzone bocciata cristianamente e umanisticamente. Un consiglio: Arisa torni a fare Arisa.

In un Sanremo apparentemente apolitico Dov’è l’Italia di Motta, è forse stato l’unico lampo politicizzato?
Quella di Motta però non è una canzone politica ma un appello alla coscienza del Paese, che scava nel profondo dell’anima: dove sei, dove ti trovi? Inseguire solo la parte utilitaristica e commerciale, tipico della società contemporanea, non porterà mai alla quadratura del cerchio, perché solo l’amore fa miracoli... E l’amore è vita e «la vita è l’unico miracolo a cui non puoi non credere», ci dice il raffinato e sensibilissimo Cristicchi.

Meno raffinato forse è il giovane Ultimo: 2° classificato e per questo arrabbiato col mondo intero.
L’atteggiamento finale tenuto da Ultimo rivela l’immaturità del momento... Il testo però della sua canzone mi piace, specie laddove corrisponde al problema dello scrivere parole nuove all’«altezza dell’amore», come sostiene sempre Nek. Ultimo conclude I tuoi particolari con «se solamente Dio inventasse delle nuove parole potrei scrivere per te nuove canzoni d’amore e cantartele qui». Messaggio che custodisce un valore religioso e teologico assai profondo.

Lei è rimasto incantato da questi “versi”: «Non siamo un soffio di vento, non siamo un momento, siamo sole in un giorno di pioggia». Cantano Il Volo, forse i più insultati nella storia della kermesse sanremese.
Sono stati vittima di quello che io chiamo il “narcisismo fetente”. Che non è quello del povero Narciso perché quello è tenero, ma è il narcisismo crudele dello specchio delle mie brame in Biancaneve. Questi tre ragazzi de Il Volo insieme fanno sempre la differenza: volano leggeri sulle ali del pop e possiedono il dono profondo e lirico di Bocelli. Troppo bravi e troppo bello il loro canto per non suscitare quell’odio sociale che vorrebbe farli fuori... Ma sarà difficile che il bello soccomba al narcisismo fetente.

Se dipendesse da lei don Tonino, Claudio Baglioni avrebbe un terzo mandato a Sanremo?
Baglioni ha sparigliato tutto. Il suo Festival è diventato finalmente uno show nel quale si esibiscono i cantanti, con proposte musicali attente al cambiamento epocale. Baglioni ha il merito di aver riacceso la curiosità e l’attenzione dei giovani su Sanremo, un merito non da poco.

Di Claudio Bisio ha apprezzato il monologo padre e figlio, della Virginia Raffaele le piace la comicità che però è stata oggetto di analisi critiche perfino degli esorcisti...
Personalmente non ho rintracciato nessuna forma di “satanismo” nella performance della Raffaele, anzi quel far girare i brani al contrario è stato un modo intelligente per banalizzare quelli che storicamente hanno inteso celare in maniera subliminale certi messaggi luciferini nei loro dischi.

Ma papa Francesco cosa pensa della pop-Theology?
Gli ho parlato ed è rimasto contento. Papa Francesco la vede come un filone dell’urgenza educativa della pastorale giovanile, una giusta apertura ai nuovi linguaggi per parlare di Gesù ai ragazzi. Il Papa sa come io l’ho scritta la pop-Theology e questa corrisponde ai nuovi input dettati dalla sua Evangelii Gaudium in cui invita a superare e a rompere gli schemi laddove è necessario.

L’anno prossimo sarà il 70° di Sanremo, dica la verità: se la chiamassero salirebbe sul palco dell’Ariston per cantare?
Non vado a Sanremo per cantare, perché sono un vescovo. Attenzione a non alimentare i già fin troppi falsi equivoci: io sono un predicatore e non un cantante. Semmai accetterei di salire su quel palco per commentare i testi delle canzoni e per dialogare con tutti quelli che ancora non hanno ben chiari gli orizzonti infiniti della pop-Theology, che è fatta di «cieli immensi e immenso amore» (intona salutando)... Sì, proprio come ci insegna Lucio Battisti.