L’ultima giornata del campionato di Serie A (sabato 19 e domenica 20 settembre, ma anche l’infrasettimanale) i tifosi l’hanno dedicata alla “fuga dagli stadi”. E la colpa non è stata dell’ultimo caldo estivo, né dell’anatema del patron della Lazio Claudio Lotito contro le piccole e poco redditizie (in termini economici) neopromosse Frosinone e Carpi. E forse non c’è da tirare in ballo sempre la solita litania dei nostri stadi che sono i più vetusti del “vecchio continente”, esteticamente i più brutti e qualcuno – aggiunge – sporchi e pieni di cattivi. Il problema annoso è la mancanza di una legge sugli stadi (una chimera) che consenta, come in Inghilterra, alle società di essere proprietarie degli impianti e non di dover pagare l’oneroso dazio comunale (Inter e Milan versano un canone di quattro milioni a stagione, fino al 2030). Ma anche l’agognato “modello anglosassone”, non è un’invenzione secolare. Le sue radici affondano nel tragico maggio 1985, la strage dell’Heysel di Bruxelles dove prima della finale di Coppa dei Campioni Juventus- Liverpool morirono 39 tifosi. Altri 86 persero la vita a Sheffield (nel 1989) durante la semifinale di Coppa d’Inghilterra Liverpool-Nottingham Forest e da quel momento la legge anti-hooligans promossa da Margaret Thatcher diede il via alla privatizzazione degli stadi del Regno. Da noi trent’anni di scempi ultrà e neppure la morte del tifoso napoletano Ciro Esposito (l’ultima vittima da stadio) sono servite ad accelerare quello che oltre ad essere un problema istituzionale presenta parecchie zone d’ombra sul piano architettonico. Al momento siamo fermi a tre soli stadi di proprietà (su venti società di Serie A): il vecchio Giglio di Reggio Emilia – ora Mapei Stadium del Sassuolo –, lo Juventus Stadium di Torino e il quasi completato nuovo Friuli di Udine. «Tre impianti che pur nella loro modernità sono già superati. Anche lo Juventus Stadium come concezione è “tardivo” di almeno un decennio rispetto a quelli inglesi e alle arene realizzate in Germania e Spagna. E il nuovo Friuli, pur apprezzabile sul piano della
restyling ricalca molto lo Juventus Stadium», è il giudizio di un esperto in materia, l’architetto Antonio Cunazza curatore in Rete del progetto “Archistadia”. Ma il concetto di modernizzazione si accompagna a quello della sicurezza che è una piaga sempre aperta del nostro sistema calcio. «Per la sicurezza basterebbero due telecamere, mentre invece, le barriere in curva e gli inconcepibili tornelli alti e grossi come i portoni di un appartamento (fuori dall’Italia sono semplici sbarre, come quelle dei supermercati) non fanno che generare un senso di insicurezza diffusa». Ma gli stadi di nuova concezione non sono per la massa. La Juventus, che potenzialmente conta circa quindici milioni di tifosi sul suolo nazionale, nel suo Stadium accoglie 41mila spettatori, quasi la metà del pubblico che poteva contenere il vecchio Delle Alpi, nel frattempo diventato l’Olimpico dove giocano i cugini del Torino. Lo Juventus Stadium, costato 125 milioni di euro, ha generato rica- vi da gare del 174%, più 24% di incassi. Numeri che (26mila abbonati a parte, molti dei quali latitanti nella gara di mercoledì sera con il Frosinone) andrebbero aggiornati alla luce dei vuoti preoccupanti di queste prime partite di campionato dei bianconeri. È indubbio che l’impianto di proprietà è un business per i club, ma si tratta anche di un progetto studiato a tavolino che non segue le esigenze e le logiche del tifoso da stadio (che da tempo esprime il suo dissenso), bensì asseconda quello da salotto. «Il calcio ormai è soltanto spettacolo televisivo, perciò quello che è accaduto in passato per i cinema sta accadendo anche negli stadi: meno posti e meno possibilità di assistere allo spettacolo dal vivo», spiega l’architetto Simone Censi, ricercatore all’Università di Alghero. «Lo stadio che fino a un decennio fa era ancora un luogo di aggregazione sociale ormai è ridotto a mera “cornice” di pubblico, il quale serve come claque, a riempire gli spazi esteticamente brutti per la ripresa televisiva delle pay-tv – continua Censi –. E questo lo si comprende già dalla scelta dei colori dei seggiolini: una volta rispettavano quelli sociali della squadra, ora i policromati del nuovo Friuli aiutano a coprire gli eventuali vuoti». La paura dei buchi in tribuna ha indotto la Roma del presidente James Pallotta a pensare a un nuovo impianto a Tor di Valle (area dell’ex Ippodromo) “stile Colosseo” (progettato dall’archistar Dan Meis) dalla capienza contenuta rispetto all’Olimpico, 52mila posti (ampliabile a 60mila per match straordinari). Rischio di impresa calcolato: oltre un miliardo di euro, di cui 320 milioni per interventi pubblici. Il nuovo stadio, come direbbe il tecnico giallorosso Rudi Garcia, è al «centro del villaggio», ma quello commerciale. Sulla carta c’è già un fantastico “non-luogo” con oltre 250 attività tra negozi e ristoranti (promessi 10mila nuovi posti di lavoro), ma il tutto è ancora al vaglio - come sempre - delle amministrazioni locali capitoline. Iter burocratici ignoti a Londra dove l’Arsenal con l’appoggio dell’Emirates agli inizi del 2000 ha realizzato il suo Stadium spendendo 500 milioni di sterline con annessa area residenziale la cui vendita ha garantito alla proprietà dei “Gunners” 391 milioni di sterline, con un utile annuo di 69 milioni. I ricavi dell’Emirates Stadium si aggirano intorno alla stessa cifra degli utili che lo pongono al vertice come modello assoluto, seguito (con 54 milioni di euro a stagione) da quel gioiello che è lo stadio del Bayern Monaco, l’Allianz Arena. Il
title sponsor è fondamentale per un nuovo stadio e non un optional come invece pensano dalle nostre parti. E questo sarà uno dei tanti nodi che il Milan dovrà sciogliere per l’eventuale realizzazione del nuovo stadio del Portello. Un sogno che pare sfumato e che per diventare realtà Berlusconi e il suo socio thailandese mister Bee dovrebbero sborsare almeno 320 milioni di euro. «Quello del Milan a ridosso dell’area della Fiera di Milanocity sarebbe comunque un tentativo di interrompere il “decentramento ” dei nostri stadi dalle aree urbane – dice l’architetto Cunazza –. Lo Juventus Stadium per la sua posizione viene ironicamente chiamato il “campo di Venaria”, più vicino alla Reggia che alla centralissima Mole». Anche il Mapei Stadium del Sassuolo sorge a tre chilometri dal centro di Reggio Emilia e nel 1995, quando aprì i cancelli, era la casa della Reggiana (allora in Serie A, ora in Lega Pro). «Un cliché, quello della costruzione fuori dal centro, cominciato per i Mondiali di Italia ’90 con la costruzione di quella cattedrale nel deserto – l’ “astronave” progettata da Renzo Piano – che è il San Nicola di Bari», ricorda l’architetto Censi. Il San Nicola rappresenta uno di quegli esempi di gigantismo irrisolto che pare aver lasciato il posto al “piccolo e bello” e altamente hi-tech rappresentato dal nuovo Friuli. «Ma anche in questo caso si va in controtendenza rispetto al resto d’Europa – conclude Cunazza –. Mentre il Barcellona e il Real Madrid aumentano di 5-6 mila posti i loro monumentali templi del football (il Nuevo Estadio Bernabeu del Real è un progetto da 400 milioni di euro, più 30% di ricavi previsti) qui da noi si riducono drasticamente». Il nuovo Friuli è sceso da 40mila a 25mila posti e nel processo di modernizzazione è stato eliminato l’ultimo simbolo di una tradizione che era già avanguardia: il maxischermo Cosmo Panasonic (per dimensioni era il terzo al mondo) installato nel 1984, gli anni mitici dell’Udinese di Zico. Anni formidabili con stadi già vecchi, ma originali, pregni di fascino e soprattutto pieni.