La leggenda del rock. Springsteen torna con un album di cover. Il "Boss" è soul
Dopo venti album in studio e quasi mezzo secolo di carriera, Bruce Springsteen ci regala - e si regala - un momento di gioia ed energia che è un atto di amore per la black music d'annata. Per la seconda volta nella sua carriera - cominciata nel lontano 1973 - il Boss si concede una pausa per incidere un album di cover, brani degli anni '60 e '70 (con un paio di sconfinamenti negli '80) in cui stavolta si mette alla prova solo come cantante.
E il risultato è un'antologia di 15 brani soul che è un balsamo per le orecchie e una sferzata di allegria e vitalità, di questi tempi quanto mai necessaria. Only the strong survive è il 21° album del grande rocker del New Jersey prodotto da Columbia Records/Sony Music e prodotto (e suonato) da Ron Aniello e dal fedele John Landau, da oggi disponibile nei negozi, in CD e doppio LP per gli irriducibili del vinile, oltre che sulle piattaforme online.
Già la grafica vintage della copertina dice molto. Un saporito antipasto era arrivato il 14 ottobre con il primo singolo, Do I love you (Indeed I do), pezzo gioioso e trascinante (inciso nel 1965 da Frank Wilson) nella più pura tradizione rhythm and blues. L'inizio al vibrafono suona molto E-Street band, anche se in realtà per questo album Springsteen ha lasciato a casa la sua potente macchina da rock'n'roll, tranne la corista/violinista Soozie Tyrrel.
Ed è molto E-Street anche l’intro di organo scelta per Any other way: è il sound springstiniano che spunta un po' ovunque. Il disco è un omaggio appassionato ai cataloghi delle gloriose etichette black - Motown, Gamble and Huff, Stax con brani poco conosciuti almeno al grande pubblico europeo. Canzoni di Ben E. King, Jimmy Ruffin, Jerry Butler, Diana Ross e di gruppi come Temptations, Four Tops e Commodo-res, con la loro Nightshifts dell'84 che era già allora una dedica a Marvin Gaye e Jackie Wilson, due soulmen scomparsi giusto quell'anno.
E uno di questi grandi cantanti, Sam Moore del duo Sam & Dave, partecipa nell’album ai cori del secondo brano, Soul days. Scorrono, come la scaletta di un dj radiofonico particolarmente ispirato, brani romantici come I wish it would rain o I forgot to be you lover. O rhythm and blues incalzanti come Turn back the hands of time e Someday we'll be toghether.
L'omaggio di Springsteen è rispettoso degli originali e non stravolge gli arrangiamenti, ma li tira a lucido e li rinnova con la sua voce potente e appassionata. Lo spiega lo stesso Springsteen, nel video in cui parla appoggiato al cofano della sua splendida Corvette del 1960, la stessa della copertina della sua autobiografia del 2016, Born to run: «Volevo fare un album di cover e basta. E quale musica migliore - dice - se non il repertorio americano degli anni '60 e '70? Ho provato a rendere giustizia a tutti gli spettacolari autori di questa musica gloriosa. Il mio obiettivo è permettere al pubblico moderno di fare esperienza della bellezza e gioia di queste canzoni».
La sfida che Springsteen decide di affrontare, dunque, è quella da interprete. Lo dice chiaramente: «Ho trascorso la mia vita lavorativa con la mia voce al servizio delle mie canzoni, confinata dai miei arrangiamenti, dalle mie melodie, dalle mie composizioni. La mia voce è sempre arrivata seconda, terza o quarta a quegli elementi», afferma un po' troppo modestamente. Ascoltato il risultato delle prime registrazioni, il Boss ci dice ridacchiando che «a 73 anni la mia voce è ancora tosta».
Chissà se a ispirarlo nella scaletta dei pezzi non siano state, almeno un po’, le conversazioni - sulla vita e anche sulla musica - con l'amico ex presidente Barack Obama, confluite nel libro dell'anno scorso Renegades: Born in the USA, firmato da entrambi. Che Springsteen incida un album di canzoni altrui, dunque, non è una novità. Lo aveva fatto nel 2006 con We shall overcome: The Seeger sessions, dedicata alla musica tradizionale statunitense, bianca ma con qualche deviazione nel gospel. Stavolta invece paga il suo tributo alla black music. Perché se è vero che Springsteen ha innestato la potenza del rock'n'roll di Elvis Presley nella poesia di Bob Dylan, è altrettanto vero che ha sempre pescato a piene mani sia dalla musica bianca che dalla musica nera.
La stessa E-Street band all’inizio poteva contare su due - anzi tre - musicisti di colore: il sassofonista Clarence “Big Man” Clemons, scomparso nel 2011, il pianista David Sancious e, anche se per pochi mesi del 1974, il batterista Ernest “Boom” Carter, che farà in tempo a registrare la batteria in Born to run, brano iconico dell'epica springstiniana. Springsteen non ha mai nascosto il suo grande amore per il soul. Basta pensare agli anni formativi ad Asbury Park, passati a suonare nei locali con due bianchi appassionati di black music come “Litlle Steven” Van Zandt, membro storico della E Street Band, o Johnny Lyon, meglio noto come Southside Johnny. O ricordare le tante cover soul dei suoi concerti-fiume: War contro la guerra in Vietnam di Edwin Starr, Raise your hand di Eddie Floyd, la natalizia Merry Christmas baby cantata da Otis Redding e da Ike & Tina Turner.
E non sono grandi pezzi black anche alcuni suoi classici, come Tenth Avenue freeze out o E-Street shuffle? Senza contare le produzioni che curò personalmente per due album del cantante nero Gary U.S. Bonds. Un disco luminoso, armonico, trascinante, questo nuovo Only the strong survive. A suo modo leggero. Dunque disimpegnato? È noto che Springsteen nel corso della sua carriera ha maturato progressivamente una forte coscienza civile, che lo ha portato anche a schierarsi politicamente.
E dedicare un album al periodo d'oro della black music - anni di battaglie per i diritti civili e della blaxploitation nel cinema - forse è anche un modo di ricordare la questione razziale, ancora irrisolta se oggi c'è bisogno del movimento Black lives matter. La sua, sul tema, il Boss la disse chiaramente nel 2001 con American skin (41 shots), scritta dopo l'omicidio di Amadou Diallo, studente guineiano di 24 anni freddato a New York dalla polizia con 41 colpi. «La mia musica - ha dichiarato spesso Bruce Springsteen - ha sempre voluto misurare la distanza tra la realtà e il sogno americano».
Stavolta lo fa con «il soul, che assieme al gospel - giura - è la più bella musica vocale mai stata registrata». La bellezza del soul e del gospel. In inglese - letteralmente - anima e vangelo.