Agorà

Il caso. Quando le parole fanno splash

Giacomo Gambassi martedì 19 aprile 2016
Il suono di una parola? Conta eccome. E comunica sensazioni o impressioni che penetrano nella nostra mente anche se non ne siamo completamente coscienti. Prendiamo i nomi delle auto. Hanno timbri che non sono per niente casuali, sostiene Edoardo Lombardi Vallauri, docente di linguistica all’Università Roma Tre. Molte delle vetture di media cilindrata contengono una r doppia o vicina a un’altra consonante: tr, pr, cr... «Alla r – osserva lo studioso – si associano tradizionalmente i valori di durezza, velocità e forza oppure l’idea di un moto rotatorio». Così nomi come Prisma, Tempra, Croma, Astra, Vectra o Primera sono stati messi a punto o impiegati per trasmettere potenza e dinamismo. Invece, nota il linguista, gli appellativi delle utilitarie che devono esprimere simpatia più che prestanza fanno del tutto a meno di suoni vibranti: è il caso di Uno, Panda, Fiesta, Polo o Twingo.I nomi delle vetture rappresentano un’applicazione nel marketing del fonosimbolismo. Il vocabolo ha un sapore tecnico, è apparso nella Germania dell’Ottocento e sta a indicare la capacità di associare suoni linguistici a elementi del mondo fisico o psichico. Messa in questi termini, sembra qualcosa di distante, di estraneo al nostro quotidiano. Invece con questa proprietà ci confrontiamo nel parlare e nell’ascoltare (ma anche nello scrivere e nel leggere) di tutti i giorni, molto spesso senza rendersene conto. Potere della lingua. Un vocabolo come bidone non è per un semplice accidente così diverso da spillo. Istintivamente si ha l’impressione che il primo sia in grado di suggerire un oggetto più grosso (per i suoni gravi e la lunga o) e il secondo un oggetto piccolo (per i suoni acuti e la breve i). Tornando alla pubblicità, il sapone Wickle appare più delicato di uno ribattezzato Wockle oppure il computer portatile Detal è ritenuto più contenuto di uno chiamato Dotal.  A raccontare il legame fra suoni e parole sono Lombardi Vallauri e Luca Nobile, docente di linguistica all’Università di Borgogna, nel libro Onomatopea e fonosimbolismo (Carocci, pagine 146, euro 12,00) che in una sorta di viaggio dalle formulazioni più antiche alle neuroscienze svelano i segreti di un fenomeno in grado di contagiare gli idiomi di tutto il mondo. Il tratto più noto del fonosimbolismo è l’onomatopea. Miao, splash, tic tac fanno entrare in una conversazione o in una pagina i suoni o i rumori dell’ambiente intorno a noi. Chiù, usato da Giovanni Pascoli in L’assiuolo, e clof, clop, citato da Aldo Palazzeschi per descrivere La fontana malata, sono onomatopee semplici, mentre tintinnio o crepitio (impiegato da Gabriele D’Annunzio in La pioggia nel pineto) vengono definite derivate o secondarie. Certo, le parole onomatopeiche non vanno confuse con le interiezioni come ahi, ohibò, eh, toh: le prime imitano un suono di quanto ci circonda, le altre manifestano in modo “sonoro” uno stato psicologico o fisico.La scelta di una lettera rispetto a un’altra può aiutare a riprodurre anche le interazioni fra cose. Urti e impatti sono richiamati in italiano con la p, la t o la c dura; sfregamenti e scivolamenti dalla f o dalla s: ne è la prova il vocabolo sci. Altro caso interessante è il ricorso al fonestema gl in inglese. Esiste un gruppo di termini che iniziano tutti per gl e indicano la visione o la luce: gleam significa splendere, glimmer barlume, glitter scintillare. Di fatto un unico suono è associato a uno stesso campo semantico, chiariscono i due autori. Molte sono le lingue, compreso l’italiano, che contemplano gli ideofoni, come zig zag, lemme lemme o quatto quatto, per raffigurare movimenti o moti dell’animo. E numerose parole comuni riproducono con il suono aspetti della realtà che intendono designare. Sgattaiolareevoca lo stile rapido di un gatto; farfalla sembra imitare la leggerezza con cui l’insetto batte le ali; scivolare rimanda a un evento fluido e senza interruzioni. Impressioni di questo genere sono state sfruttate nella letteratura e in particolare nella poesia. All’inizio della Sera fiesolana, scrivendo “Fresche le mie parole ne la sera, ti sien come il fruscìo che fan le foglie, del gelso”, D’Annunzio ottiene sia di abbozzare una scena, sia di farne udire il suono con il ripetere di f e s.Il tutto grazie al fonosimbolismo che, sottolineano i due linguisti, consente ad esempio ai bambini di tuffarsi fin dai primi mesi di vita nell’universo delle parole. Uno studio ha mostrato che i 5mila vocaboli acquisiti prima dei 6 anni, e più ancora i mille appresi prima dei 4 anni, risultano ben più “sonori” dei 10-15mila imparati a scuola. Del resto gli studenti sfruttano proprio i fonosimboli per memorizzare il lessico di una lingua straniera. Come a dire che siamo di fronte a un fenomeno magari ignorato ma davvero a portata di mano.