Romano Fenati è l’ultimo dei ragazzini “terribili” del Motomondiale. Personalità e intenzioni le ha sbattute subito in pista. Al debutto in Qatar anziché lasciarsi intimorire dal quel mondo roboante e luccicante ha centrato il secondo posto. Venti giorni dopo, in Spagna, tanto per ribadire che il podio non era stato un caso è salito sul gradino più alto. È velocissimo con la moto ma va con i freni tirati quando c’è da parlare. È solo un adolescente ma già abbastanza maturo per capire che quando sei al centro dell’attenzione, e con tanti microfoni in giro, è meglio misurare le parole per evitare fraintendimenti. E non si è scomposto nemmeno per l’improvvisa ressa attorno a sé, dopo la prima gara: «Me lo aspettavo. Ultimamente è quasi una novità un italiano sul podio».Fenati è marchigiano come Rossi, ma del lembo opposto della regione. Il suo accento ascolano richiama l’Abruzzo, quello di Valentino ha già lo “slang” romagnolo. Ma l’accostamento è inevitabile per chi è alla ricerca di un nuovo “fenomeno”. «Certo essere un corregionale significa avere qualche punto in più per diventarne l’erede», prova a scherzare l’aspirante campione per niente intimorito dal confronto con quello che fino a ieri è stato il suo mito. «Ho ancora il poster appeso in camera», confessa. Ma per uno strano scherzo del destino si ritrova a somigliare fisicamente al più acerrimo rivale del “Dottore”: Jorge Lorenzo. «Ma lo stile è tutto mio - tiene a precisare -. Mi è venuto naturale, non ho copiato nessuno». Fenati ha personalità e freddezza, lo dimostra anche quando si trova accanto ai campioni della MotoGp senza provare emozioni: «Sono persone normali. La vera emozione sarebbe prendere un 9 a scuola», confessa sorridendo.Il nonno gli ha fatto da padre perché il suo non lo ha mai conosciuto. E chiude sbrigativamente l’argomento: «Non voglio parlarne». Sempre nonno Romano gli ha dato il nome, una casa e insinuato il virus della velocità. Lo ha messo in sella quando aveva appena quattro anni, e a sette, appena il regolamento lo ha consentito, ha iniziato a scarrozzarlo per la penisola nelle gare di minimoto, prima, e di miniGp, poi. Ha solo 16 anni ma è già un veterano, con 10 stagioni sulle sue fragili spalle e tante cadute che sente ancora nelle ossa. «Ho fratturato entrambe le clavicole, i due mignoli e i due pollici. Ho lussato il polso e distorto il ginocchio», confessa come se fosse la cosa più normale del mondo. E non ha avuto paura o ripensamenti nemmeno dopo il terribile incidente di Simoncelli: « È il rischio del mestiere. Ci si abitua a conviverci».È solo un adolescente ma parla come un adulto, e come un uomo già fatto ha affrontato le prime difficoltà in pista, come le due cadute consecutive che lo hanno allontanato dal vertice della classifica. Si è rialzato e ha ripreso lentamente a fare punti. Ora è quarto e primo dei debuttanti: un risultato straordinario se si pensa che per lui tutti i circuiti sono sconosciuti, li affronta per la prima volta. Non si è demoralizzato, ha mantenuto i nervi saldi e ha gestito le avversità, aiutato dai tecnici del suo staff, gli uomini di quel Team Italia allestito dalla Federazione motociclistica per valorizzare il nostro vivaio. «Si lavora in prospettiva dell’anno prossimo. Punterò a vincere il Mondiale». La moto occupa buona parte della sua vita, ma non è tutta la sua vita: «Sono andato solo due volte a vedere le gare del Motomondiale dal vivo. Mi annoiavo a guardarle anche in tv. Spesso mi addormentavo pure». Così, a parte le tre ore di palestra, per l’allenamento quotidiano, il resto della sua giornata è quella di un normale adolescente: «Sacrifici a parte: ma è giusto e inevitabile sacrificarsi quando si vuole fare sport ad alto livello. Ho dovuto anche lasciare la scuola pubblica e optare per una privata: tra trasferte per le gare e allenamenti avevo bisogno di lezioni “elastiche”. Ma senza rinunciare alla qualità dell’insegnamento. Poi ci sono gli amici, il sabato e la domenica, e i miei hobby: vado a pesca, gioco a softair (guerra simulata, ndr) nel parco di un amico e pedalo sugli sterrati delle colline in sella alla mountain bike». Preferisce stare all’aria aperta, magari scorrazzando per le vie di Ascoli Piceno in sella al suo “motorino”, piuttosto che starsene davanti alla tv o al computer. «In città vado piano. Non ho mai preso una multa », dice candidamente. Come tutti i piloti, Fenati è scaramantico, ma non ha esitato ad adottare il numero di un suo amico sfortunato: «Prima avevo il 23, con il 5 correva un mio carissimo amico che ha dovuto lasciare le corse per problemi di salute. L’ho preso per lui».