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Musica. Elena Somarè, il fischio come “Respiro” d'artista

Enrico Deregibus mercoledì 29 dicembre 2021

La musicista Elena Somarè, professionista del fischio: il suo terzo album s’intitola “Respiro”

«Il fischio è considerato volgare oppure una curiosità, al massimo un colore, ma mai uno strumento in grado di dare le stesse emozioni di un canto». A parlare, rattristata quanto basta, è Elena Somarè, la più importante interprete di fischio melodico in Italia e forse nel mondo, oltre che affermata fotografa e videomaker. «Ancora oggi ho difficoltà a far capire che ascoltare un concerto di fischio non è noioso» aggiunge. Eppure a poco a poco ce la sta facendo. Il suo cammino tutto sommato non è iniziato da molto: il primo album, Incanto, sulla canzone napoletana, è del 2016. Tre anni dopo è stata la volta di Aliento, che andava in Sudamerica. E ora Respiro, che mette in fila canzoni icona degli anni 70 e 80, come Blackbird dei Beatles, Moonchild dei King Crimson, Rivermandi Nick Drake, People are strange dei Doors o House of the Rising Sun, che gli Animals presero dalla tradizione folk americana e portarono in classifica.

Tutte canzoni che in qualche modo hanno a che vedere con la natura, perché, spiega lei, «il fischio è un suono ancestrale, il pensiero va immediatamente agli uccelli o al suono del vento. La connessione con la natura è dunque fortissima e per questo i brani del disco sono quasi tutti legati alla natura». Respiro sa anche un po’ di sfida: si allontana dall’accogliente terreno melodico dei dischi precedenti per perlustrare rock e dintorni e affermare ancora di più la potenzialità del fischio come strumento. Ne è uscito fuori qualcosa di suggestivo, di maliardo, con arrangiamenti docilmente calibrati su di lui, sulla sua peculiarità, sulle sue frequenze. Sul suo respiro.

Un lavoro di squadra guidato dal chitarrista e arrangiamida tore svedese Mats Hedberg e dall’arpista paraguaiano Lincoln Almada, che poi è colui che ha portato alla musica professionale Elena Somarè. «Prima facevo solo piccole performance per divertimento, in modo sporadico. Poi un’amica arpista, Giuliana De Donno, mi ha chiesto un breve intervento su un suo disco. In sala di registrazione c’era Lincoln, che era il direttore artistico. Mi ha sentita ed è rimasto colpito. Mi ha detto: “Perché non lo fai seriamente, da musicista? Se vuoi ti insegno il linguaggio musicale, l’armonia, la ritmica e vediamo che ne viene fuori”. Dopo sei anni è uscito il mio primo disco». Ma il fischio la accompagnava da quando era da bambina, destino segnato. «Sentivo sempre mio padre fischiare e lo imitavo. Mi veniva del tutto naturale. Già a sei anni mia madre mi faceva esibire davanti agli amici e fischiavo Casta Diva dalla Norma di Bellini. Ero una bambina ti- ma mi veniva così facile che non mi preoccupava, anzi, ero apprezzata e questo mi faceva superare la timidezza».

Ora fa concerti in tutto il mondo, New York, la Corea del Sud, Parigi, Vienna, Nuova Delhi, Montecarlo e così via. «Quando inizio a suonare spesso tengo gli occhi chiusi per non vedere la reazione di stupore nel pubblico. Poi le persone la superano, incominciano a sentire la musicalità e diventa del tutto normale: ascoltano musica. Il bello è che poi escono tutti fischiettando ». Tecnicamente la difficoltà più grossa qual è? «L’intonazione. È piuttosto difficile fischiare intonati. Poi, sul palco, il problema maggiore è il vento contrario o l’aria condizionata che ti secca le labbra». Restano pregiudizi difficili da superare. Il fischio ha qualcosa di angelico, ma un tempo era addirittura considerato la voce del diavolo. Una volta, alla fine di un concerto per l’inaugurazione di una mostra sull’Africa, un artista africano le ha detto che stava facendo una cosa eversiva.

«Non ci avevo pensato. In molti Paesi per una donna fischiare è davvero considerato eversivo. In seguito sono andata a suonare per lo Europe Day ad Abu Dhabi, chiamata dalla Unione Europea, con un pubblico di studenti ma soprattutto di studentesse universitarie tutte vestite di nero, in abito tradizionale. E alla fine del concerto c’è stato un grande applauso e poi centinaia di foto con tutte loro. In molti Paesi il fischio è considerato “haram”, ovvero indecente per una donna. E lo era anche da noi. Quante bambine sono state sgridate dalla mamma perché fischiare era volgare». Un altro potente ricordo legato alla musica riguarda la sua attività di fotografa, quando durante la guerra in Kosovo ha accompagnato il medico clown Patch Adams.

«L’emergenza più grande nei campi profughi era di carattere psicologico: bambini che rimanevano soli, che avevano visto la propria famiglia uccisa magari dal vicino di casa e l’odio che respiravano quotidianamente. C’è una cosa che penso sia emblematica di quello che Patch Adams riusciva a fare. Riuniva i bambini e gli chiedeva di cantare. E loro intonavano subito inni di guerra. Poi iniziava lui a cantare delle canzoncine per bambini tipo Yanky Duddle con il naso rosso del clown e facendo delle divertentissime smorfie. Dopo poco finalmente tutti i bimbi lasciavano cadere la tensione, iniziavano a ridere e sorridere e cantavano la stessa canzoncina a squarciagola. La potenza della musica è immensa ». Già, compresa quella di una donna che gira il mondo col suo pratico strumento fatto di aria, polmoni e labbra. Ed il vento che poco a poco sta smettendo di soffiarle contro.