«Ma tutto ha avuto inizio qui da noi». A vent’anni dalla caduta del Muro di Berlino uno dei leader storici di Solidarnosc, Bogdan Borusewicz, ci tiene a ricordare che il comunismo cominciò a morire in Polonia, sulle rive del Baltico. Era il 4 giugno del 1989 ed i polacchi, dopo oltre sessant’anni, tornavano ad eleggere liberamente l’assemblea del Senato. Dal 2005 ne è presidente Bogdan Borusewicz, votato sia dal partito di governo, Piattaforma civica, sia da quello dell’opposizione, Diritto e giustizia. Un piccolo miracolo politico che rende onore ad un combattente di razza. Borusewicz, sessant’anni, fin da giovanissimo si schierò con l’opposizione anti-comunista, diede inizio allo sciopero del 1980 a Danzica insieme con Lech Walesa e dopo lo stato di guerra proclamato da Jaruzelski nel 1981 scelse la lotta clandestina. Ne ha parlato ieri pomeriggio incontrando gli studenti dell’Aseri, l’Alta acuola di Economia e relazioni internazionali dell’università Cattolica di Milano. Ed in quest’intervista al nostro giornale entra nel merito delle recenti polemiche sul 1989.
Tra pochi mesi sono previsti grandi festeggiamenti per ricordare il ventennale della caduta del Muro di Berlino. Ma sembra che ci sia dimenticati di quel che è successo prima, in Polonia... «Il crollo del Muro fu un evento molto scenografico. È naturale che oggi, quando si parla della fine del comunismo, tutto si concentri su quell’immagine spettacolare. In realtà il Muro cominciò a cadere in Polonia con le elezioni semi-libere che si erano svolte il 4 giugno dell’89 e poi con il primo governo democratico presieduto da Mazowiecki. Per questo recentemente il senato polacco ha proclamato il 1989 «anno della democrazia». È stata una conquista giunta alla fine di una lunga marcia, iniziata con lo sciopero nei cantieri Lenin di Danzica nel 1980 che segnò la nascita di Solidarnosc, il primo sindacato libero in un Paese del blocco sovietico».
Secondo alcuni storici revisionisti il sindacato Solidarnosc del 1989, tornato alla legalità dopo l’accordo siglato alla tavola rotonda con il generale Jaruzelski, è molto diverso dal movimento originario del 1980. Alla lotta si sarebbe sostituito il compromesso con il vecchio regime comunista che avrebbe continuato a vivere sotto le apparenze della democrazia. Qual è il suo giudizio? «Prima di tutto devo precisare che la visione storica a cui lei ha accennato è del tutto minoritaria in Polonia. Gli stessi esponenti del partito dove è sorta quest’interpretazione, i gemelli Kaczynski (il presidente della Repubblica Lech e l’attuale capo dell’opposizione, Jaroslaw), avevano preso parte alla tavola rotonda e ultimamente l’hanno giudicata positivamente. E per chi come me in quegli anni lottava nella clandestinità non c’era dubbio che prima o poi si doveva arrivare ad un negoziato con il regime. Il fatto che Jaruzelski, l’uomo che nel 1981 aveva messo fuori legge Solidarnosc, si fosse deciso ad aprire un dialogo con Walesa e gli uomini del libero sindacato non fu certo un atto spontaneo, una grazia calata dall’alto. Negli anni Ottanta in Polonia era cresciuta l’opposizione di massa, ci si sentiva appoggiati da papa Wojtyla ed un nuovo intervento militare era ritenuto impossibile da quando al Cremlino s’era insediato Gorbaciov ».
Borusewicz, fino al 1988 lei è stato uno dei più importanti dirigenti di Solidarnosc clandestina. Non si sentiva isolato dal resto del mondo? «Al contrario. Quando negli anni Ottanta dirigevo l’opposizione, le cellule clandestine contavano migliaia di persone. Ero in contatto con i dissidenti sovietici della Bielorussia e della Lituania. Pensi che riuscivamo a far arrivare macchinari per le tipografie clandestine fino in Mongolia!»
Un’epopea che oggi sembra quasi dimenticata in Polonia. Come spiega l’indifferenza di gran parte della gioventù polacca alla vicenda storica di Solidarnosc? «Vede, la libertà è come l’aria che respiriamo: solo quando manca ci accorgiamo della sua importanza. Io avevo trent’anni quando occupavo i cantieri navali di Danzica, non sapevo come sarebbe finita ma pensavo: questa è la cosa più importante della mia vita. Oggi i giovani hanno tante opportunità, non però un’esperienza così forte. È nostro compito ricordare per costruire insieme. Sono solito dire che quel che abbiamo cominciato nel 1980 è terminato solo nel 2004 con l’ingresso della Polonia nell’Unione europea».
A questo proposito: il Parlamento polacco ha ratificato il Trattato di Lisbona ma il presidente Kaczynski non l’ha ancora firmato. Quando lo farà? «Ha promesso che lo sottoscriverà il giorno dopo il referendum che si deve ripetere in Irlanda. Io avrei preferito che l’avesse già fatto da tempo».
La crisi economica globale si fa sentire anche in Polonia. Nel dibattito che si è acceso sull’ingresso della Polonia nella zona euro, lei, presidente Borusewicz, da che parte sta? «Sono dell’idea che avremmo dovuto adottare la moneta unica già due anni fa. Adesso la situazione è molto complicata ma raggiungere quest’obiettivo è più urgente che mai».