Agorà

Intervista. Soldini porta al cinema la storia di due editori

Alessandra De Luca sabato 6 agosto 2016
Un documentario per celebrare l’ineffabile magia delle parole, ma anche la passione di due artisti-artigiani per un lavoro antico, sul quale si misura il loro rapporto con il tempo e la vita. Silvio Soldini, in autunno sul set del suo nuovo film, Emma, interpretato da Valeria Golino e Adriano Giannini, arriva il 7 settembre nelle sale con Il fiume ha sempre ragione, distribuito da I Wonder in collaborazione con Fil Rouge Media dopo i due premi vinti al Biografilm Festival e dopo la proiezione il 4 settembre al Festival della Mente di Sarzana. Protagonisti di questo racconto, poetico quanto la materia che ci restituisce, sono Alberto Casiraghy, editore, aforista, illustratore, fondatore della casa editrice Pulcinoelefante, la cui bottega a Osnago è meta di artisti, disegnatori e poeti, amici che insieme a lui custodiscono la preziosa stampante meccanica a caratteri mobili, e Josef Weiss che a Mendrisio ha fondato il suo Atelier della Stampa e della Rilegatura d’Arte e per realizzare le sue edizioni artistiche unisce la sensibilità del grafico con la tecnica del restauratore. Soldini ci racconta perché ha deciso di entrare nei laboratori due eredi di Gutenberg per i quali coltivare la bellezza diventa un gesto rivoluzionario.Alberto Casiraghy era il personaggio di un suo precedente documentario, Made in Lombardia. Perché ha deciso di tornare a raccontare la sua storia?«In questi vent’anni mi è capitato di incontrare Casiraghy a teatro, alle mostre. Poi un giorno Giovanni Bonoldi, che qualche anno fa mi aveva chiesto di realizzare il documentario Quattro giorni con Vivian sulla poetessa italiana Vivian Lamarque mi ha parlato di Weiss perché pensava che sarebbe stato interes- sante girare un film su lui e Alberto, tra la Brianza e il Ticino separati dal confine. Ho conosciuto Weiss, ho proposto il progetto alla Ventura Film e ho coinvolto la televisione svizzera italiana, sempre interessata a storie di confine e alla produzione di documentari».Nel film ci fa conoscere due persone molto speciali, ma anche due luoghi di lavoro affascinanti, fuori dal comune.«Ho trascorso cinque giorni con entrambi. La casa di Alberto è molto particolare, le pareti sono rivestite da fotografie, ricordi, disegni, oggetti. Quello di Weiss invece è un vero e proprio laboratorio con le macchine, poi c’è il negozio. Weiss è più solitario, fa libri d’arte, più preziosi e costosi, restaura volumi che salva dalle bancarelle perché gli fanno pena. Li porta a casa e regala loro una nuova vita. Casiraghy invece è un poeta, un artista. Ha inventato le edizioni Pulcinoelefante, librettini di otto pagine con una poesia, un aforisma, un’illustrazione».Cosa le interessava raccontare attraverso il lavoro di questi due editori?«La storia di due solitudini mi sembrava importante in un’epoca in cui la società va in una direzione molto diversa. In un mondo dominato dalla violenza, quelle di Casiraghy e Weiss sono due oasi di pace, poesia e lentezza. Valori da sottolineare e salvare come Weiss salva i libri delle bancarelle. Negli anni abbiamo smarrito molti oggetti, ma non credo che i libri si perderanno del tutto. Le nuove generazioni non sono totalmente convertite ai tablet. Il problema è la lettura che sta diventando sempre più faticosa per tutti. Oggi in cui è più facile concentrarsi sulle immagini, leggere un libro è diventato un gesto antico. Sono quindi molto contento che al Biografilm Festival il film abbia così emozionato il pubblico vincendo ben due premi».Il film non celebra solo la bellezza dei libri, ma anche lo stile di vita di chi li fabbrica in modo artigianale.«Il documentario rende omaggio a due persone straordinarie, che hanno preso decisioni radicali rispetto a valori in cui credono, infischiandosene di tutto il resto. Vivono con quello che hanno, in pace con se stessi e molto vicini alla felicità. È raro che le persone riescano a raggiungere questo obiettivo perché è facile farsi distrarre da altri valori, quelli imperanti, e da problemi indotti dall’esterno. Difficile capire quali siano davvero le cose essenziali. Il mondo ti tira da un’altra parte, invece a volte è bello fare delle rinunce, dedicarsi a qualcosa solo per il piacere di farlo, per l’importanza che ha per te quella cosa. Loro ne sono stati capaci. Ed entrambi hanno una propria filosofia di vita, che Casiraghy esprime spesso con i suoi aforismi, tra cui “Il fiume ha sempre ragione” che dà il titolo al film. L’ha inventato al momento, guardando l’Adda che scorreva».Cercare la poesia nelle piccole cose della vita di ogni giorno appartiene da sempre al suo cinema.«Attraverso documentari come questo compio dei viaggi alla ricerca di persone semplici, umili, che siano da esempio anche per il pubblico, che facciano riflettere e ci consegnino un messaggio importante».Si può fare cinema oggi nello stesso modo in cui Casiraghy e Weiss fanno i loro libri?«Si, con i documentari, che costano meno del cinema di finzione. Dopo aver visto il film per la seconda volta Casiraghy mi ha detto che anche io sono un poeta, e che questo è il film giusto per raccontare la loro poesia. La cosa naturalmente mi a reso molto felice. C’è cinema di prosa e cinema di poesia. Una poesia però che non ha necessariamente a che fare con la sceneggiatura, ma con la regia, con il montaggio e i suoi tempi. Un’inquadratura più lunga di due secondi può aggiungere poesia. In un montaggio serrato, di poesia non ce n’è, c’è solo racconto. Nel cinema la poesia è legata al tempo e al suo utilizzo. Spesso è necessario fermarsi perché passi un respiro poetico in un film, bisogna saper aspettare».