Il regista. Sokurov: «Il cinema, arma del totalitarismo»
Il regista russo Aleksandr Sokurov
«Il cinema dal punto di vista antropologico è stato un grande regalo al totalitarismo. Le dittature nel ’900 sono cresciute insieme al cinema e i dittatori lo hanno usato come arma di convinzione di massa». Provocatorio, diretto, ironico, colto, innamorato del-l’arte, il regista russo Aleksandr Sokurov torna ad interrogarsi sulle radici della nostra storia in un nuovo progetto, un film dedicato alle ragioni che hanno portato allo scoppio della Seconda guerra mondiale. Il regista, classe 1951, Leone d’oro a Venezia 2011 con il Faust che chiuse allora la tetralogia sul potere iniziata con Moloch, dedicato a Hitler, Toro su Lenin e Il sole sull’imperatore Hirohito, sente nel rinascere dei nazionalismi di oggi, l’esigenza di riportare la sua riflessione artistica e politica sulle radici del male. Sokurov, si racconta a tutto tondo e anticipa il suo film in occasione dell’assegnazione dell’Olivo d’oro alla carriera al XX Festival del Cinema Europeo di Lecce. Un lavoro che coinvolge anche gli storici archivi dell’istituto Luce di Cinecittà e che ha come titolo provvisorio 'La risata tra le lacrime'. Il regista, per questo film ambientato negli anni del conflitto, è infatti alla ricerca di filmati di Hitler, Stalin, Churchill e Mussolini ritratti nelle circostanze più insolite e nei momenti meno noti, ma rilevatori della loro natura umana, della loro visione del mondo e degli eventi.
Perché torna ad affrontare il tema della guerra e delle dittature?
Sono autore, sceneggiatore e regista di questo progetto che vede coinvolti anche tanti altri archivi internazionali. Non stiamo cercando nastri segreti e inediti. L’intenzione è quella di far capire al grande pubblico come sia potuto accadere il disastro della Seconda guerra mondiale. Alla base di alcuni disastri possono esserci i caratteri di certi grandi personaggi che, anche se responsabili della morte di milioni di persone, non andranno mai all’Inferno. Il male spesso va cercato dentro di noi.
Vede, come intellettuale, una possibilità di nuovi disastri nell’Europa dei nuovi nazionalismi?
Difendere l’identità nazionale è positivo se si parla di cultura, di autoidentificazione. Ma non devono prendere il sopravvento delle forze che possono portare alla distruzione. Non sono un politico e non devo dare giudizi politici. La sovranità va intesa come difesa della cultura nazionale, inglese, italiana, francese, nel senso di approfondire, salvare e sviluppare la civiltà occidentale dell’Europa. La pace cresce se si approfondiscono le culture che solo così possono interagire fra di loro.
Non c’è il rischio che le barriere politiche creino anche barriere intellettuali?
Bisogna prestare attenzione. C’è il pericolo che i politici facciano dei danni. Dobbiamo quindi votare per i politici che sviluppano la cultura. Il popolo italiano, ad esempio, merita che lo Stato destini più risorse alla cultura italiana che è così ricca. Non si tratta solo di restaurare un magnifico patrimonio, ma anche svilup- pare un’arte fondamentale come il teatro. Il nazionalismo è obsoleto perché non esprime assolutamente le qualità insite nella difesa dei valori culturali di una nazione.
Il suo cinema è strettamente legato alla cultura e all’arte, basti ricordare il monumentale Arca russa girato all’Ermitage di San Pietroburgo.
Siamo immersi nell’arte, ce n’è veramente tanta in giro. Musica, arte contemporanea e autori di teatro: dobbiamo chiederci seriamente quanto di questa produzione sia veramente pertinente all’arte. Il tallone d’Achille degli artisti contemporanei è la mancanza di temi veramente grandi.
Comunque lei sta dando il suo contributo alla Biennale arte di Venezia in corso.
L’Ermitage mi ha dato l’incarico di curare il padiglione russo e io ho coinvolto tanti giovani artisti. Io adoro i musei, e se avrò occasione di dedicare le mie forze per aiutare l’Ermitage con un progetto museale, lo farò. Occorre rivedere tutta la cultura espositiva. Intanto al Padiglione della Russia a Venezia tutto è incentrato su uno dei capolavori custoditi all’interno del museo, ovvero Il ritorno del figliol prodigo di Rembrandt del 1668, un autore per me fondamentale come Verdi, El Greco e Dante. Il tema sono gli addii e i reincontri, i nuovi addii e i nuovi incontri, nelle condizioni di un mondo molto instabile in cui non vi è unità e misura per i rapporti tra le persone.
Un mondo in cui, oggi, si corre il rischio che sia il web il nuovo strumento di convinzione di massa?
Certo, certe idee si possono trasmettere attraverso internet, ma anche no. Il problema vero è il dominio del potere finanziario su tutte le arti, cinema compreso. Stiamo affrontando un periodo in cui viene tradotta in soldi la vita di tutte le persone, e questo ha una terribile influenza soprattutto sui giovani. In Unione Sovietica si è tentato di deprezzare il valore del denaro, ma tutti vediamo come è andata a finire. Il problema cruciale di tutte le religioni è come affrontare il ruolo dei soldi che sta aumentando di giorno in giorno. Le finanze stanno tentando di uccidere Cristo e non lo faranno neanche risorgere. Persine il rigore e l’austerità degli islamici non sa come affrontare questo problema.
Quindi anche il cinema di oggi è schiavo della finanza?
Il cinema oggi ha un’influenza negativa sulla società. Non fidatevi del cinema, non abbandonatevi con fiducia ai film. Perché ci sono tanti registi eccellenti mestieranti, ma altri che sono diavoli veri. Il cinema può influenzare i giovani mostrando odio e violenza. Invece nell’arte occorre inserire i valori di nobiltà, pazienza e delicatezza. Penso sempre più spesso che non voglio più fare cinema, sono stanco. Una parte delle cose che vorrei esprimere col cinema è irraccontabile.
Anche il rapporto con Dio?
Il cinema è un’arte troppo giovane per parlare con Dio. Può farlo solo attraverso delle persone scelte. Se una serie di registi e attori bussassero alle porte del Paradiso, Dio a chi aprirebbe? A quelli che si sono sacrificati o agli ipocriti? Anna Magnani è l’unica donna del mondo del cinema cui Dio avrà spalancato le porte. Spero che Lui abbia perdonato tutti i peccati di Ingmar Bergman, e lo abbia fatto entrare. Dreyer di sicuro è là e Fellini è direttamente nel cda del Paradiso.