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Dibattito. Non solo Fb, tutti i social alternativi

Stefania Garassini martedì 17 aprile 2018

C’è vita oltre Facebook. Ma non è una vita facile. La popolarità e la diffusione del social media di Mark Zuckerberg non è certo frutto del caso. È stato piuttosto il lavoro accurato per intercettare le esigenze e i desideri del proprio pubblico e impegnarsi per soddisfarle a portarlo sino all’attuale traguardo di 2 miliardi e duecento milioni di utenti. La storia del social di Menlo Park, nato nel 2004, è costellata di innovazioni che hanno introdotto forme inedite di condivisione con la propria rete di contatti. Un esempio per tutti è il Newsfeed, la bacheca che vediamo non appena apriamo il servizio. Inizialmente non era prevista: l’idea di Zuckerberg era costruire una rete di profili per facilitare le relazioni fra studenti. La nascita del Newsfeed, nel 2006, fu quindi una scommessa. Il successo - come sappiamo - è andato oltre le aspettative, favorendo di fatto la nascita di una modalità di relazione inedita, informale, disimpegnata, adatta anche a mantenere una qualche forma di legame con persone lontane o con le quali semplicemente non si vuole condividere più di tanto.

E la storia è proseguita in un continuo adattamento alle mutevoli esigenze di chi usava il servizio, nel non facile compito di dare una sostanza visibile, palpabile a qualcosa d’immateriale, in parte anche di poco codificabile e razionale, com’è la nostra vita di relazione. Nel farlo Facebook ha dato una propria forma a questa vita. Una forma che ha tra i suoi elementi critici la creazione di tecniche sempre più sofisticate per indurre una sorta di dipendenza nei propri utenti, nel dilagare del linguaggio d’odio e nell’esasperata corsa alla raccolta e alla vendita dei dati dei propri utenti, con i rischi di usi impropri, fino ad arrivare potenzialmente alla vera e propria manipolazione come sembra emergere dalle cronache recenti. Di qui l’idea d’ipotizzare un’alternativa al servizio di Mark Zuckerberg, sintetizzata nell’hashtag #DeleteFacebook (cancella facebook) che imperversa in Rete.

Le proposte non mancano, ma la storia dei social media concorrenti ha già all’attivo numerosi tentativi falliti. Il più illustre è senz’altro il caso di Google+, social media lanciato nel 2011, che non è mai davvero decollato ed è rimasto piuttosto marginale nel panorama del Web. Diaspora, Peach o Sarahah sono soltanto alcuni degli altri nomi di servizi social acclamati dai giornali e spariti nel giro di pochi mesi o sopravvissuti, ma limitatamente a un numero esiguo di utenti. Oggi le maggiori aspettative sono riposte nell’app Vero, online dal 2015 ma oggetto in questo ultimo periodo di un autentico exploit d’iscrizioni, che l’ha fatta schizzare a 3 milioni di utenti nel giro di poche settivacy mane, con un esodo significativo da Instagram (proprietà di Facebook), cui più direttamente si ispira il servizio. La app, che ha come slogan «Più social meno media», è di proprietà del miliardario libanese Ayman Hariri (figlio del primo ministro Rafic ucciso nel 2005) finito nei guai nelle scorse settimane quando si è scoperto un passato di sfruttamento dei lavoratori per l’azienda di costruzioni che era stata di proprietà della sua famiglia. Immediatamente, a riprova del clima di nervosismo e impulsività che regna nei social media, si è diffuso l’hashtag #DeleteVero (cancella Vero). Una volta chiarito che il suo ideatore non era stato coinvolto in quella vicenda, il social ha mostrato di sopravvivere alla prima tempesta della sua storia per riproporsi sul mercato. “Vero” già nel nome denuncia l’intenzione di ripristinare un’autenticità nei rapporti sociali, e lo fa offrendo la possibilità di diversificare i propri contatti, indicando se si tratta di un amico, un amico stretto, un conoscente o un semplice follower (una funzione simile a quella che propone anche Google+). Nella vita, spiegano gl’ideatori del servizio, si condividono cose diverse con persone diverse, dunque dovrebbe essere possibile farlo anche online.

A differenza di Instagram, il sistema consente di condividere non soltanto immagini ma diverse tipologie di contenuti, dalla musica ai libri, dai video ai luoghi visitati. Il tutto riunito in una bacheca strutturata in modo rigorosamente cronologico, senza l’intervento di algoritmi come accade su Facebook, ma anche su tutti i social più frequentati. La promessa poi è quella di non raccogliere a fini pubblicitari i dati degli utenti (le indicazioni sulla pri- però non sono chiarissime) e perseguire un modello di business basato su abbonamenti, anche se al momento il servizio è ancora gratuito. Caratteristica unica nello scenario dei social, Vero ha poi una funzionalità che mostra agli utenti il tempo passato a usare il servizio. «Non dobbiamo vendere pubblicità - si legge nella presentazione - quindi non c’interessa tenervi agganciati il più a lungo possibile con meccanismi che creano dipendenza, come le continue notifiche ». Gl’intenti sono dei migliori, ma al momento, anche prevedendo un forte incremento degli iscritti, restano molte incognite nel futuro dell’applicazione: oltre agli aspetti economici, scricchiola anche l’infrastruttura tecnica, che proprio in questi giorni, con l’aumento dei contatti, ha mostrato qualche defaillance.

Una vicenda che era partita con intenzioni simili ma che poi ha aggiustato il tiro è quella di Ello (http://ello.co), un social media lanciato nel 2013 con l’idea di offrire un’alternativa meno commerciale a Facebook (slogan: «You are not the product», tu non sei il prodotto) poi trasformatosi in una rete per creativi, dove condividere le proprie opere. Patreon, (da “patron”, in inglese letteralmente “mecenate”), ha tra i fondatori, sempre nel 2013, Jack Conte, musicista, star di Youtube, alla ricerca di una formula per finanziare il suo lavoro. Oggi sono un milione gli utenti, nei campi più disparati, che propongono le proprie opere per metterle a disposizione della comunità in varie forme, dalla gratuità al pagamento di una piccola somma da parte di singoli o gruppi di fruitori. La formula sembra funzionare. Ma se non dobbiamo dimenticare che una vita senza social media è possibile - e per certi aspetti forse auspicabile - nel caso di un vero naufragio di Facebook i servizi di cui abbiamo parlato sono soltanto scialuppe di salvataggio. La nave su cui salire deve ancora comparire all’orizzonte. E con tutta probabilità sarà un servizio che noi oggi non riusciamo nemmeno a immaginare. Perché è così che funziona, da sempre, Internet.