Dal prossimo novembre la British Library di Londra ospiterà la mostra "One Language, Many Voices", destinata ad alimentare la lunga querelle tra puristi e innovatori: i primi non si rassegnano all’idea che ogni lingua è una sorta di organismo vivente in evoluzione continua, sia per le invenzioni dei parlanti sia per gli apporti e le contaminazioni da altre lingue. All’opposto, gli innovatori sono disposti ad accettare qualsiasi novità, per quanto inutile e sguaiata, pur di allontanarsi dalla tradizione. In effetti una lingua vive nell’equilibrio dinamico tra espressione e comunicazione: le necessità espressive (molto sentite da poeti e scrittori) spingono a creazioni a volte troppo audaci per essere comprese dal pubblico generale, mentre le necessità comunicative tendono ad appiattire la lingua, spegnendola in una palude di frasi fatte. Tra i due estremi la lingua trova di volta in volta un suo bilanciamento variabile nel tempo e nello spazio. Oggi molti stigmatizzano la disinvoltura con cui i più giovani flettono l’italiano con cui stilano i messaggini che si scambiano sui cellulari, adoperando abbreviazioni del tipo: +o- (più o meno), C6 (ci sei?), cpt (capito), tvb (ti voglio bene), 610 (sei uno zero), ke (che), o ricorrendo all’uso di faccine stereotipate ("emoticon") per riassumere una circostanza, per accompagnare il messaggio con la segnalazione di uno stato d’animo o per dare al messaggio un tono particolare: ironico, leggero, seccato e così via. Per esempio: :-7 (falso), :-@ (sono arrabbiato), :-) (sono felice), :-O (sono incredulo), :-( (sono triste), 8-/ (sono ubriaco), :-’| (ho il raffreddore), e via sfaccinando (questa è un’innovazione :-)). Ma non si creda che questi espedienti siano nuovi: già gli antichi ricorrevano a contrazioni e a crasi per comprimere la faticosa incisione su pietra delle iscrizioni a futura memoria, tanto che esiste una branca dell’antichistica, l’epigrafia, che si occupa proprio di decifrare le iscrizioni del passato, rese oscure dallo spesseggiare delle abbreviature. Ma, tra le lingue più comuni, è l’inglese quella che più si presta a queste contrazioni; qualche esempio classico: where R U ("Where are you?" Dove sei?), I wrote 2 U B 4 ("I wrote to you before", ti ho scritto prima), e di questa straordinaria flessibilità (o ambiguità, dovuta alle frequenti omofonie dell’inglese) si approfittavano un po’ tutti già in epoca vittoriana (famoso il poeta Charles Carroll Bombaugh, 1828-1906, autore di un "Oddities and Curiosities of Words and Literature", "Stravaganze e curiosità delle parole e della letteratura", che ci lasciò "A T Miles", 80 miglia, "M T head", testa vuota, e così via). Bisogna dire che, al contrario del francese, su cui veglia dal 1635 l’Académie Française, rigida custode della lingua, l’inglese non è stato mai posto sotto tutela e ciò, insieme con la sua grande duttilità, ne ha fatto una lingua ad evoluzione rapidissima e capace di assorbire tutto o quasi dagli altri idiomi. Ci fu, è vero, nel 1712 un tentativo del "pedante" Jonathan Swift (quello di Gulliver), che invocò l’intervento dello stato per mettere ordine nel grande guazzabuglio della lingua di Shakespeare, e in effetti la mostra della British Library accoglierà una copia del suo "Proposal for Correcting, Improving, and Ascertaining the English Tongue". Ma il suggerimento non ebbe seguito, per cui sotto con gli Sms "sincopati"!