La mostra a Roma. Robert Smithson e la fame di sacro
Robert Smithson, Fallen Christ,1961
Una mostra che rivela la visione sacrale di un giovane destinato a diventare un protagonista dell’arte internazionale; disegni, collage e poesie che scoprono una tensione mistica nascosta nelle contaminazioni più azzardate; riflessioni sul tempo, la storia e il divino che prendono forma con intensità e violenza: una mostra al Macro di Roma presenta un’importante serie di lavori degli anni di esordio di Robert Smithson (1938-1973), uno dei protagonisti delle ricerche d’avanguardia americane, attivo sui versanti dell’arte concettuale e della Land Art. Il progetto (a cura di Luca Lo Pinto, realizzato in collaborazione con la Holt/Smithson Foundation; fino al 21 maggio) è legato alla città di Roma, con cui Smithson ha avuto un rapporto speciale ed è dedicato alla sua prima personale internazionale, tenuta proprio nella capitale, nel 1961, presso la galleria George Lester. Non a caso, ancora a Roma, nel 1969, grazie a L’Attico di Fabio Sargentini, Smithson ha poi legato uno dei suoi lavori più famosi: Asphalt Rundown, la colata di asfalto in una cava fuori Roma, concepita quasi come un flusso che celava una profonda riflessione sul tempo e sull’entropia. Le opere realizzate e presentate tra il 1961 e il 1969 apparirebbero a prima vista molto distanti, ma nascondono in realtà legami densi che si congiungono al pensiero complesso di un artista che ha indagato le radici archetipe delle cose, le connessioni tra il flusso temporale e il suo arresto e le origini visive sospese tra il presente e la storia.
Robert Smithson, Feet of Christ, 1961 - © Holt/Smithson Foundation, Licensed by VAGA at ARS, New York
In questo senso, appare di grande importanza l’influenza della poesia di T.S. Eliot sul giovane Smithson, messa bene in evidenza dalla mostra e palese nei temi religiosi, nelle riflessioni sulla percezione del tempo, nelle intersezioni tra la dimensione del sacro e la banalità del mondo attuale che avvicinano l’artista anche a uno scrittore come P.K. Dick. Nel suo primo pellegrinaggio romano incontriamo così Smithson che cerca di scoprire le segrete fonti spirituali dell’arte, che immagina basate su quelle che definiva “l’arte bizantina” e la “facciata del cattolicesimo”, in quella “caduta di Roma”, in bilico tra il senso della fine e il sogno della rinascita, a cui si riferisce il titolo della mostra: Rome is still falling, ripreso da una sua lettera. Smithson evoca però una Passione di Cristo di una violenta durezza medievale, vicina a certe visioni drammatiche dell’arte Nord Europea che esplode in immagini allucinate dove le spirali (tornate poi nella maturità della sua Land Art) perdono ogni qualità decorativa e si ammantano dell’aspra potenza del martirio. I vortici insanguinati scavano così le piaghe dei piedi di Cristo e incidono la sua figura dolente sotto il peso della Croce, alludendo forse a un moto simbolico che nasconde la ricerca di un divino silenzioso e smarrito nei vortici di un mondo insensato e oscuro, di frammenti luminosi di grazia dispersi nel caos simultaneo delle immagini contemporanee.