Quando prendi per la prima volta l’autobus diretto in Anatolia e passi uno dei due ponti sul Bosforo, alla scritta «Asya’ya Hos Geldiniz», «Benvenuti in Asia», provi una specie di brivido, unito alla curiosità di quello che troverai. Alle spalle hai la parte più nota di Istanbul, l’Europa, la cultura nella quale sei cresciuto. Davanti hai la porta dell’Asia, l’Anatolia appunto, una terra che secondo molti Europa non è, e che in Europa vorrebbe entrare. E della quale tu non sai pressoché nulla, se non attraverso miti, leggende, luoghi comuni e qualche depliant turistico della zona costiera. E se, passato quel ponte, la tua prima destinazione è Smirne, la prima cosa che pensi è che non ci sia tutta questa differenza con il mondo che hai lasciato. Izmir, come la chiamano i turchi, è una città dinamica e che esplode di vita. Quasi quattro milioni di abitanti, ha visto raddoppiare la sua popolazione a partire dagli anni Novanta, quando il Paese iniziò l’ascesa che l’ha portato, subito prima della grande crisi del 2008, a essere una delle economie emergenti più interessanti a livello globale. Sulle colline è possibile vedere quali siano stati gli effetti dell’espansione urbanistica, che è andata parzialmente a rovinare l’ambiente naturale circostante per cui Smirne era tanto famosa, anche se, fortunatamente, non ha avuto impatto significativo sulla veduta d’insieme della città, che si affaccia su uno dei golfi più scenografici del Mediterraneo. Centro commerciale e culturale durante il periodo greco e romano, testimonianze del suo passato glorioso non ne sono rimaste molte, almeno all’interno del nucleo abitato, e questo può sicuramente rappresentare sulle prime un motivo di delusione, ampiamente ripagato dai siti archeologi che ci sono nella zona, primi fra tutti Efeso e Pergamo, che distano poche decine di chilometri e che, almeno nel primo caso, adesso attraggono più visitatori di Pompei. Diciamo che, a dispetto della fama che la circonda, Smirne è una città proiettata verso il futuro e che soprattutto non molla mai. Dopo la sconfitta contro Milano per l’assegnazione dell’Expo 2015, Smirne ha tenuto duro, portando avanti molte delle opere previste in caso di vittoria. Il risultato è che oggi la metropoli sta gradualmente cambiando faccia. A due anni dalla disfatta molti dei progetti previsti per l’esposizione internazionale sono entrati nella fase esecutiva. La Perla dell’Egeo, come la chiamano i turchi, ogni anno ospita anche decine di eventi culturali, che attirano pubblico non più solo dal Paese della Mezzaluna, ma anche dall’estero. Un esempio per tutti è il festival che si tiene tutti gli anni fra luglio e agosto e che rappresenta una delle rassegne musicali più importanti del Mediterraneo. Forte della sua tradizione cosmopolita e fiera nel rappresentare appieno i canoni dello Stato laico e moderno nato dalle ceneri dell’Impero ottomano, Smirne sta lavorando anche sulla sua offerta culturale, pianificando una nuova strategia che terrà conto di tutta la sua tradizione e alla quale, per volere del sindaco Aziz Kocaoglu, parteciperanno realtà diverse della società civile. La città è godibile e ordinata. Il suo lungomare, lungo oltre venti chilometri e tenuto in modo lodevole in ogni sua parte, è tutto un susseguirsi di locali e ristoranti che, soprattutto nella bella stagione, allietano i pomeriggi e le sere della popolazione con una vasta gamma di prodotti, intrattenimenti e fasce di prezzo. Sì, perché gli abitanti di Smirne amano vivere bene. Ce ne si rende conto guardando le vetrine dei numerosi negozi sparsi per la città, dove figurano rigorosamente solo capi alla moda occidentale. E a ovest ci si richiama non solo per il costume. La Perla dell’Egeo si considera a tutti gli effetti la città più moderna della Repubblica a partire dalla sua fondazione. Il fatto che Zübeyde Hanim, madre del fondatore dello Stato moderno Mustafa Kemal Atatürk e considerata un po’ la mamma di tutti i turchi, abbia finito qui i suoi giorni è un motivo di grande orgoglio per tutta la popolazione. Essere turco di Smirne è prima di tutto un grande onore, una medaglia da portare sempre perfettamente lucidata sulla divisa. E così quando si interloquisce con uno di loro sembra di parlare con uno serenamente convinto di essere il primo della classe. E tutto solo perché viene da Smirne. Loro sono laici. Perché vengono da Smirne. Sono colti e si divertono. Perché vengono da Smirne. Le donne non portano il velo perché Smirne è una città autenticamente occidentale e aperta e quindi crescono con modelli in tutto e per tutto simili a quelli europei. L’Akp il partito islamico-moderato guidato dal premier Recep Tayyip Erdogan, qui non vincerà mai perché Smirne è la terra sacra del laicismo turco. Insomma, nell’ottica dei suoi abitanti, finché c’è Smirne c’è speranza. Si tratta di una delle espressioni più autentiche del nazionalismo turco, quella così fiera consapevolezza del proprio passato e della propria identità che a noi molto spesso sfugge. Eppure, camminando per le strade, ci si rende conto che anche la metropoli più radiosa della Turchia moderna nasconde un passato doloroso. Nel quartiere di Alsancak, non distante dal porto, si entra in contatto con un’altra anima della città, un’anima perduta e che oggi, malgrado gli sforzi e l’oggettivo miglioramento della situazione, rimane qualcosa di irrimediabilmente lontano nel tempo. Smirne una volta era una delle città dove si concentrava maggiormente la comunità greca. Poi, con la guerra greco-turca del 1919-1922, le sorti di questa minoranza cambiarono considerevolmente e quelli che non vennero uccisi furono costretti a scappare o finirono vittime degli scambi di popolazione.La Smirne di oggi si è lasciata alle spalle l’orrore che ha passato, è caduta e si è rialzata, ma camminando nel quartiere di Alsancak viene da immaginarsi che splendore fosse prima che la guerra e i reciproci fanatismi si abbattessero sulle sue strade. I rapporti fra Turchia e Grecia a partire dal terzo millennio sono considerevolmente migliorati e l’attuale capo del governo di Atene, George Papandreou, ha lanciato messaggi molto concilianti riguardo l’ingresso della Mezzaluna in Europa. Ankara stessa sembra aver preso coscienza del fatto che debba essere inaugurata un’era nuova. Non è un caso che, a giugno del 2009, il premier turco Erdogan, in un discorso ufficiale che ha sollevato un gran polverone nel Paese, abbia parlato per la prima volta di pratiche antidemocratiche, illegali e fasciste ai danni di alcune minoranze etniche che vivevano nel Paese. Nelle sale cinematografiche due film,
Güz Sancisi e
Sonbahar, hanno ottenuto grande successo, cosa un tempo impensabile se si considera che il primo parlava del pogrom del 1955 e il secondo è in parte recitato in greco del Ponto, la lingua della minoranza che ancora oggi, seppur in misura minima, vive sulle coste del Mar Nero e che i turchi non comprendono. Certo i passi da muovere sono ancora molti. Fra i due Paesi rimangono momenti di tensione per la questione Cipro, per le presunte violazioni degli spazi aerei da parte della Turchia denunciate da Atene e per la minoranza turca che risiede in Grecia, che viene tenuta sotto controllo da Ankara con grande attenzione. Smirne, con il carattere fiero e combattivo che l’ha sempre contraddistinta, guarda avanti verso il mare, carica di tutte le contraddizioni che animano il Paese, ma anche protesa verso l’Europa. Fiera portatrice dell’identità nazionale, che ancora oggi è oggetto di discussione fra chi si trova a parlare di Turchia, ma anche il luogo dell’espansione e dell’apertura verso l’Occidente per eccellenza. L’atmosfera del 1922, il tessuto urbanistico fatto di case ottomane con finestre sporgenti e i pergolati dove si trovava riparo dalla calura, sono andati persi per sempre, e sopravvivono solo in qualche sporadico angolo. Nel gennaio del 2008, dopo ben ottantaquattro anni, la comunità ortodossa è tornata a celebrare il rito della Benedizione dell’acqua di fronte al lungomare. C’erano solo poche decine di persone e non le migliaia di fedeli di inizio secolo scorso, ma è un segno di come l’atmosfera in città sia serena e sempre più simile, nei limiti, a quella di una volta.Da qualche mese poi ha aperto un bar con un nome quanto mai simbolico e significativo. Si chiama Sakiz Adasi, l’"Isola di Chio", ma in città è noto a tutti semplicemente come il Caffè greco. Il suo nome gioca su un’ambiguità:
sakiz in turco infatti indica tanto la località quanto la pasta caramellata con un retrogusto che ricorda l’anice e che è alla base di molte delle specialità proposte. Si trova in uno dei punti più belli del lungomare ed è nato in qualche modo per ricreare l’atmosfera della città prima del conflitto del 1919. A prima vista sembra un locale tra i tanti, ma entrando si nota che le scritte e parte delle riviste a disposizione della clientela sono in lingua ellenica e che la musica che si ascolta è greca. Le ordinazioni vengono accompagnate da un bicchiere d’acqua in cui è sciolto un cucchiaino di
sakiz. Tutti uniti davanti a una tazzina, insomma. Il caffè greco è ovviamente identico a quello turco. Ma nessuno ha voglia di mettersi a discutere su chi possa vantarne il primato. Nella Smirne di una volta non faceva alcuna differenza.