Agorà

Classe. SLAVA

COSIMO ARGENTINA venerdì 29 aprile 2016
I brasiliani d’Europa ello sport e non solo la storia è determinata dalle vittorie. Sono i vincenti che impongono la loro legge, segnano il cammino e si intrufolano nella leggenda. Sono i nomi scolpiti nell’albo d’oro che restano. E con i nomi si esaltano la cultura, i simboli e il valore bioantropologico dei campioni. E non sempre sono i migliori che si iscrivono alla lista degli immortali perché è il campo che determina il successo e il successo ha mille variabili. Nel calcio, grande Olanda anni ’70 e Ungheria degli anni ’50 a parte, questa regola del più forte incoronato con l’alloro è stata sempre rispettata e va da sé che l’immagine dei secondi risulti sbiadita e destinata, nel tempo, a scomparire. Il football porta con sé anche altro. Amiamo il samba brasiliano, giocoso accompagnamento musicale di una stirpe, quella dei verdeoro, che è riuscita a cucirsi sulle maglie l’emblema del pentacampeón. Osanniamo il Maracanà di Rio come il tempio del calcio mondiale. E guardiamo al Brasile quale pietra angolare di ogni giocata di genio. Ma a proposito di genio e calcio, Fabrizio Tanzilli, nel suo saggio A un passo dal paradiso, per una volta sposta l’ottica, modifica i parametri consueti assegnati dagli eventi e concentra la sua attenzione su un calcio fatto di estro e imprevedibilità, ma anche di incostanza e inaffidabilità che ha raccolto ben po- Nco: quello slavo. Del resto genialità e potente macchina da trofei non sempre vanno di pari passo. Successi e talento non sono necessariamente un binomio scontato. E poi non si usa dire che il calcio è la metafora della vita e dei luoghi da cui proviene? Bene, la storia del calcio balcanico procede a strappi sgorgando da una terra massacrata, sempre in conflitto, dilaniata da guerre civili e al centro dei grandi eventi bellici mondiali. Un provocatoria filastrocca oltre Adriatico recitava “Sei Stati, cinque nazioni, quattro lingue, tre religioni, due alfabeti e un solo Tito (un solo partito)”. Questa è stata per decenni la realtà slava. Una nazione, la Jugoslavia, nata da cinici accordi postbellici diretti a creare uno sbarramento unitario tra il blocco della cortina di ferro e l’Europa occidentale. Un sacrificio chiesto a popolazioni tra loro in perpetua rivalità, l’annientamento di connotati ideologici al servizio di giochi di potere. Da una terra del genere non poteva nascere il samba. Qui non si è mai giocato a calcio sulle spiagge né si celebra il carnevale come il momento più alto dell’intero anno solare. La terra balcanica è una ferita ancora aperta nel cuore dell’Europa. Il Danubio, la sua cicatrice. Un mondo del genere ha però riversato nel calcio la propria genialità, il suo estro tzigano e Tanzilli ripercorre vicende storiche e calcistiche partendo dagli albori, dal primo campionato jugoslavo vinto dal Gradanski Zagabria, squadra affiliata all’università, fino alla calata in massa di calciatori danubiani - ben 55 - nel nostro campionato, quello che si sta per concludere. Dai tempi dei calciatori della Jugoslavia eterna sconfitta in storiche sfide con la Germania Ovest o estromessa dagli Europei a vantaggio della Danimarca, all’attualità fatta di atleti provenienti da nuovi Stati indipendenti, calciatori che giocano in nazionali che vanno dal Montenegro alla Slovenia, dalla Croazia alla Serbia, dalla Bosnia Erzegovina alla Macedonia. Mentre si celebrano ancora i processi per genocidio davanti al tribunale internazionale penale dell’Aja, il calcio slavo continua a sfornare talenti che hanno invaso le serie maggiori di molti campionati europei. Tanzilli ci ricorda che la terra dei Balcani, colpita a morte da attentati storici e da massacri e pulizia etnica, è stata in grado di far conoscere al mondo squadre rimaste nell’immaginario collettivo. Su tutte la leggendaria Stella Rossa di Belgrado. E poi i rivali del Partizan Belgrado, la Dinamo Zagabria, l’Hajduk di Spalato, ma, tranne per la Stella Rossa vincitrice della coppa dei campioni nel ’91 e un mondiale under 20 per nazioni, questa è una storia fatta di eterni secondi, di squadre andate in pezzi in semifinale, di genialità smarrita per strada, durante gli intervalli, nei secondi tempi da suicidio contro compagini mitiche come il Manchester United, il Real di Hugo Sanchez, il Milan di Fabio Capello. Sì, qui non c’è spazio per il samba, qui funziona la musica evocativa e dissacratoria di Goran Bregovic, il suo violino, il soffio del mantice delle fisarmoniche così simili alle veroniche di Dejan Savicevic, le esplosive cacofonie musicali che marchiano i film di Kusturica facili da accostare alle cannonate del sinistro di Siniša Mihajlovic, i virtuosismi di mandolini improvvisati come le cavalcate di Prosinecki. Forse l’accostamento migliore alla genialità slava e ai ritmi della musica balcanica è quello col tango argentino e coi suoi calciatori talentuosi e sregolati. Osvaldo Soriano avrebbe trovato le parole giuste, avrebbe potuto battere un terreno fertile per le sue novelle dove il calcio era uno dei mezzi legati a un difficile rinascimento sociale. Ma gli argentini hanno vinto due mondiali, coppe intercontinentali, hanno avuto Maradona e il tango si balla in tutto il mondo. Il genio slavo invece non paga. Eterni nomadi, vagabondi da alcuni definiti zingari, da altri mercenari, i calciatori nati e cresciuti al di là del mar Adriatico si sono sempre portati dietro un talento fragile, quasi mai supportato da doti caratteriali. Ma nella loro fragilità e litigiosità spesso il popolo degli spalti ha saputo identificarsi e per questo i laziali non dimenticheranno facilmente Alen Bokšic, quelli del Milan Zvonimir Boban, quelli della Juve Mirko Vucinic, quelli dell’Inter Dejan Stankovic. E i doriani saranno eternamente gradi all’oracolo Vujadin Boškov. © RIPRODUZIONE RISERVATA Fabrizio Tanzilli A UN PASSO DAL PARADISO Il calcio slavo, gli artisti dei balcani rivali della Storia Ultra - Lit edizioni. Pagine 141 Euro 15,00 Fenomeni Nella ex Jugoslavia non poteva nascere il samba Qui non si è mai giocato a calcio sulle spiagge Nel cuore dell’Europa è una terra ancora ferita. Eppure nel pallone si è riversata tanta genialità con squadre leggendarie e campioni che hanno fatto la storia CAMPIONI Al centro il montenegrino Dejan Savicevic ex Milan come il croato Zvonimir Boban (sinistra). Il serbo Sinisa Mihajlovic (destra)