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Cinema. Caso Riace: l'esilio di Mimmo Lucano finisce in un film

Antonio Maria Mira mercoledì 5 giugno 2019

L'ex sindaco di Riace Mimmo Lucano (Ansa)

«Alì dagli Occhi Azzurri / uno dei tanti figli di figli, / scenderà da Algeri, su navi / a vela e a remi. Saranno / con lui migliaia di uomini / coi corpicini e gli occhi / di poveri cani dei padri / sulle barche varate nei Regni della Fame. / Porteranno con sé i bambini, / e il pane e il formaggio, nelle carte gialle del Lunedì di Pasqua. / Porteranno le nonne e gli asini, sulle triremi rubate ai porti coloniali. / Sbarcheranno a Crotone o a Palmi, / a milioni, vestiti di stracci, / asiatici, e di camice americane. / Subito i Calabresi diranno, / come malandrini a malandrini: / “Ecco i vecchi fratelli, / coi figli e il pane e formaggio!”» È l’inizio della poesia Profezia, del 1964, di Pier Paolo Pasolini. Davvero una visione profetica, come altre del grande intellettuale. Anche in quel riferimento alla Calabria. E non a caso l’ha scelta Maurizio Fantoni Minnella, scrittore e filmmaker indipendente, per chiudere, nell’intensa recitazione di Toni Servillo, il film Esilio. La passione secondo Lucano (anteprima nazionale oggi a Milano alle 20,30 presso il Cinema Anteo).

«È un po’ la chiave di volta del film», ci spiega l’autore, con all’attivo 27 film, molti sul tema delle migrazioni. Una produzione FreeZone, che racconta Riace, il suo modello di accoglienza, attraverso l’ex sindaco Mimmo Lucano. E lo fa partendo dal momento più difficile. «Sono approdato a Riace – dice il regista, usando un verbo evocativo – nel momento in cui gli erano stati convertiti gli arresti domiciliari in una sorta di condizione di esilio (l’obbligo di dimora fuori Riace, ndr) che, secondo me, è ancora più odiosa e angosciante. Ho percepito questa angoscia e l’ho fatta mia. Non era possibile tacere. Io ho reagito con questo».

E le prime parole di Lucano, all’inizio del film, rappresentano bene questo momento. «Sono stanco. Non ho la speranza che possano cambiare le cose». Sembra una dichiarazione di resa. Seguono le immagini del paese, come abbandonato. Parla una donna di Riace. «Il paese si è svuotato. Alle giostre vedevi i bambini con le mamme, oggi nessuno. Non ci hanno mai dato fastidio. È finita così».

Fantoni Minnella lo racconta, raccontando Mimmo ’u curdu. «Sono stati scritti fiumi di parole su di lui. Io ho voluto fare un film sull’uomo Lucano, con le sue contraddizioni, con la sua utopia realizzata, che non si concretizzava nel mondo intero ma nel microcosmo di Riace, anche perchèé lui non aveva e non ha nessuna intenzione di andarsene». Per questo, aggiunge spiegando la narrazione del film, «abbiamo fatto una sorta di confessione a cui abbiamo aggiunto solo le testimonianze di persone che hanno avuto un ruolo importante nella sua vita». Così Mimmo parla e così si descrive. «Io sento di appartenere a quella generazione che ha inseguito il sogno di una differente umanità. Ripartire dai governi locali era la nuova idea dopo il riflusso, il disimpegno e la rassegnazione. Ci siamo divertiti in una Riace desolata».

Cita la frase di don Tonino Bello, sulla «convivialità delle differenze». «Abbiamo costruito questa comunità che ha anche un messaggio estetico. Questa geografia umana, questo mescolarsi, ha raccontato una comunità che oltre all’accoglienza sa anche fare le cose belle coi murales, coi colori, coi fiori – ricorda sorridendo –. Questa è stata la storia di Riace. Ora si vuole impedire che questo messaggio venga divulgato». Cita uno slogan del ’68. «Abbiamo tentato l’assalto verso il cielo ma poi c’è stato un brusco ritorno alla realtà. Volevamo trasmettere un messaggio di umanità, che è possibile una società in cui gli uomini possono essere liberi. Ora vogliono dimostrare che era tutto inquinato e usano di tutto per dimostrarlo».

Ma tanti lo difendono. Il film riporta le testimonianze di immigrati e cittadini calabresi. «Era un grande sindaco, se poi ha sbagliato non lo sappiamo. Per il paese ha fatto. Ancora lo voterei. Tre volte l’ho votato», dice una coppia di anziani. Però sia dalle elezioni europee che dalle comunali di Riace, Lucano è uscito sconfitto, e vincitore Matteo Salvini. «Che una parte di Riace gli abbia votato contro è abbastanza triste e imbarazzante – riflette il regista –. E questo rende ancora più drammatica la sua testimonianza. Più veritiera e intensa. Ci sono delle verità che vanno oltre le elezioni». E questo è nelle scelte del film. «Ho evitato la retorica di certa politica di sinistra che ha bisogno di eroi. Credo che Lucano sia una persona fragile, umana. Come tanti. Ma rispetto ad altri ha avuto questo sacro fuoco».

Lo racconta bene un amico medico volontario. «Gli era stata offerta su un piatto d’argento la candidatura e l’elezione certa al Parlamento europeo. Con sofferenza ha rifiutato. Il suo obiettivo è tornare a Riace, a fare quello che stava facendo: accogliere le persone che non hanno un luogo dove andare. Non intende fare la rivoluzione, rivoltare lo Stato, non vuole abbattere nessuno, ma costruire Riace». Ma Lucano sa che il suo messaggio non si è fermato al paese calabrese. «La Riace più grande è quella che c’è nel mondo. È la Riace altrove. Non quella che è rimasta. C’è voluto coraggio per andare via, noi abbiamo avuto il coraggio di rimanere». Con queste sue parole si chiude il film. Prima dell’attualissima “profezia” di Pasolini.