Novecento. Georges Simenon fotografo nel mondo in crisi degli anni '30
Una fotografia di Georges Simenon esposta a Liegi nella mostra “Simenon, images d’un monde en crise”
Era anche un fotografo scrupoloso e prolifico, Georges Simenon, e non solo per passione. Uno scrittore di razza come lui, infatti, osservava, fissandoli con un clic, volti, sguardi, situazioni e atmosfere che riusciva a sorprendere durante i suoi viaggi intorno al mondo: così creava storie, luoghi e personaggi che sembrano usciti dalla realtà. La fotografia come metodo per conoscere meglio l’uomo, anche nelle condizioni più estreme, negli angoli più sperduti della Terra, è questa la chiave di lettura della mostra “Foto di un mondo in crisi”, visitabile fino al 27 agosto al museo Grand Curtius di Liegi, voluta dalla Simenon Heritage Fund e dalla King Baudouin Foundation (www.grandcurtius.be) in occasione dei 120 anni dalla nascita del papà del commissario Maigret.
Vi sono esposte oltre cento immagini in bianco e nero scattate da Simenon, ma anche dalla prima moglie, la pittrice Régine Renchon detta Tigy, tra il 1931 e il 1935: cinque anni vissuti insieme, lontano dai fasti di Parigi, come esploratori nell’Europa dell’Est, in Africa, Turchia, Panama, Tahiti e nei Paesi del Mediterraneo dove Simenon, ventottenne nel ’31 e già baciato dal successo del Commissario Maigret, entrerà in contatto, anche emotivamente, con una composita umanità che farà accendere la sua fantasia generando parecchi romans durs, quelli che lui riteneva “vera letteratura”, un passo in avanti rispetto alle novelle popolari scritte da giovanissimo per soli scopi alimentari, come Il romanzo di una dattilografa del 1928.
Insomma, per Simenon le foto aiutano l’ispirazione, sono un documento da utilizzare al pari di un appunto scritto o di una testimonianza orale. Scattate con Rolleiflex o Leica, le prime immagini prodotte da Georges e Tigy non appaiono pu-lite, anzi a volte sono sfocate o mosse, spesso con orizzonti disallineati e inquadrature abbondanti e troppo generose. Però, col passare del tempo, l’occhio dei due si affina, l’attenzione si focalizza, si crea un’empatia con il soggetto, si perfezionano l’aspetto estetico e la composizione. Ma non si tratta mai di foto cartolina, oleografiche o da turisti della domenica. Niente piramidi né leoni della savana. Si vedono, invece, persone: marinai, operai del porto, venditori di aglio, bambini dai volti radiosi ma vestiti di stracci, donne e madri avvolte nei pensieri, anziani fiaccati dalla miseria, migranti che dormono sul ponte di una nave, indigeni nei loro riti tribali o a caccia di pesce, ragazze sbarazzine sulla spiaggia.
Una fotografia di Georges Simenon esposta a Liegi nella mostra “Simenon, images d’un monde en crise” - © Grand Curtius - Ville de Liège
E il “quadro” è quasi sempre di povertà e arretratezza, con paesaggi carichi di malinconia, vuoti, dismessi. I cieli sono grigi e i porti quelli tristi delle partenze. Niente cedimenti al pittoresco. Sembrano illustrazioni dei romanzi che scriverà in seguito con il suo solito stile asciutto, dove si percepiscono pure i profumi e i sentori di marcio. C’è la vetrina del “Café de la marine” a Concarneau, nel Finistère, la città bretone che ha fatto da sfondo al Cane giallo (1931) dove Maigret indaga sull’omicidio di un commerciante di vini. E chissà se le due donne in posa sulla soglia sono le stesse curiose signorine protagoniste dell’omonimo roman- roman uscito nel ’36. Parecchi dei tremila bianco&neri che fanno parte del fondo furono scattati dalla moglie, di sicuro quelli dove appare lui, una decina nella mostra.
Come l’immagine realizzata a Tahiti nel ’35 dove si vede il marito inginocchiato sulla sabbia mentre inquadra, per fotografarli, giovani polinesiani in festa. I volti allegri che appaiono in questo scatto di Simenon riecheggiano l’utopia della vita indigena e della natura incontaminata dei quadri di Paul Gauguin: esotismi che entreranno, seppure in controluce, nel Turista da banane (1938). Nel ’32 lo scrittore è nel Congo belga, dove si rende conto degli effetti nefasti del colonialismo sulla vita delle popolazioni. Si sposta con una Torpedo e in un foto-ritratto appaoltre re in abiti da esploratore, mani in tasca, pantaloncini, l’immancabile pipa e il copricapo tropicale. Ma i suoi viaggi sono fuori dalle rotte classiche del turismo, distanti dagli stereotipi e dai pregiudizi della propaganda dell’epoca.
Da Marsiglia Georges e Tigy s’imbarcano per Alessandria, Il Cairo, il Sudan, e infine raggiungono il Congo, un viaggio che ispirò allo scrittore articoli critici sul colonialismo per la rivista “ Voilà” e tante belle foto di africani ripresi nella vita dei villaggi, sulle barche nel fiume e davanti alle capanne, durante momenti di comunità. Sguardi sorpresi o spaventati, donne dagli occhi languidi e dai seni nudi, mai volgari. Nel frattempo il grado estetico del fotografo Simenon è aumentato, c’è più attenzione al dettaglio, più vicinanza al soggetto. Nelle città coloniali il tono invece cambia e dalle nudità tribali la lente si sposta sull’uomo urbanizzato e sfruttato dai potentati economici e dagli imperialismi.
Attraverso le foto degli ultimi viaggi trapela un senso d’inquietudine per quanto sta per succedere in Europa: nel ’36 la guerra civile in Spagna, nel ’38 l’annessione dell’Austria alla Germania, nel ’39 l’invasione nazista della Polonia e l’inizio della seconda guerra mondiale. È l’epilogo di un mondo in crisi di cui il Simenon giornalista aveva colto i segni scrivendo reportage critici verso il colonialismo, foriero anch’esso di nuove catastrofi. Fra il ’32 e il ’33 si recò a Odessa durante l’Holodomor, la carestia indotta da Stalin per piegare i contadini ucraini attraverso torture, confische, deportazioni e che provocò la morte di quattro milioni di persone.
Una fotografia di Georges Simenon esposta a Liegi nella mostra “Simenon, images d’un monde en crise” - © Grand Curtius - Ville de Liège
Il viaggio nell’Est sovietico e nel Mar Nero ispirò a Simenon un servizio per il quotidiano “Le Jour” intitolato Gente affamata ma anche immagini penetranti di una miseria da strada, con mercatini di cianfrusaglie improvvisati sui marciapiedi e mamme che di nascosto mendicano cibo per i propri figli. A Vilnius fotografò il mondo spazzato via dai nazisti: i ghetti ebraici svuotati, le case dimesse, i bambini tristi, ambientazioni che ritroviamo, anche mascherate, nei suoi romanzi di guerra, come La neve era sporca, del ’48 o Il treno, pubblicato nel ‘61. Dalle foto di Istanbul si coglie l’atmosfera indolente che tornerà ne I clienti di Avrenos (1935), tra sfarzi e miserie, moschee, vicoli e l’aria rarefatta di una città in chiaroscuro bagnata dalle acque intorpidite del Bosforo.
Poi, sul mar di Marmara, il Simenon giornalista fa un colpo da maestro: intervista, e fotografa, Lev Trockij in esilio forzato. Fu “un’esclusiva” per il “Paris Soir”, un incontro segreto organizzato alla Simenon, con gli ingredienti tipici della spy story. Dall’Europa all’America, sempre in barca. Di Panama vediamo le immagini di merci e uomini d’ogni risma, un crocevia in cui domina la legge del più forte: soldati americani, discendenti di schiavi, affaristi europei, lavoratori asiatici, furfanti e avventurieri: i suoi personaggi, tipi come il Maidet de Il primogenito dei Ferchaux (1945).
Un mondo, quello dei porti, che Simenon amava fotografare a ogni tappa, a partire dai canali francesi. A Boulogne riprese i commerci dei pescatori sul molo, strade e atmosfere che tornano nei libri come I fantasmi del cappellaio (1948). Sull’Araldo, una barca italiana che affittò per un anno mentre faceva il giro del Mediterraneo, sorprese con la fotocamera gli sguardi di marinai che ballano fra loro un’improvvisata milonga, e in un altro momento colse la bella Boule, Henriette Liberge, la fantesca di famiglia che per anni fu sua amante segreta, mentre mangia, da sola, sul ponte. Aveva gli occhi, tristi e stanchi, di chi è costretto a sopportare.