Agorà

Sanremo. Silvestri, il megafono contro gli schermi

Massimiliano Castellani giovedì 31 gennaio 2019

La collaborazione con il rapper Rancore: oggi è un «genere dominante» «L’obiettivo è dialogare con tutti, a cominciare dagli adolescenti come i miei figli»

La speranza, in questo tempo liquido è un’onda che viene e che va, troppo veloce. E Daniele Silvestri che, da sempre, va di fretta e di corsa, si professa subito «un inguaribile ottimista ». Sono venticinque anni esatti da quando il più originale dei cantautori romani dell’era post Folk Studio (nato e cresciuto ne “Il Locale”, con i fraterni colleghi Niccolò Fabi e Max Gazzè) ha dato il via al suo «urlo sociale» dal Festival di Sanremo. Era il 1994 quando, 25enne, sbarbato, una vaga somiglianza con Rino Gaetano, salì per la prima volta sul palco dell’Ariston e cantò Voglia di gridare in cui, tra un riff funky e un parlato, antesignano dell’onda anomala rap, rimarcava con forza: «Lo slogan è fascista di natura». L’anno dopo si ripresentava a Sanremo, con la rabbia giovanile e l’idealismo dell’universitario, scendeva in piazza con L’uomo col megafono che si univa al coro di protesta dei «Compagni, amici, uniamo le voci. Giustizia! Progresso! Adesso! Adesso!». Risultato? «Ultimo posto, sì come Vasco. Ma era giusto così…», sorride scanzonato e ironico come sempre Silvestri che ci riprova con Aria (canzone su un ergastolano, edizione del Festival 1999) e poi la danzante – con il ballerino Fabio Ferri – Salirò (2002), fino all’esilarante La paranza (2007) «che si balla nella latitanza». Infine una civilissima protesta, senza megafono, A bocca chiusa (2013) che sembrava il suo canto del cigno sul fronte della kermesse canora nazionalpopolare. Ma Silvestri ha il ta- lento raro del Sornione, un fine artigiano della parola, un coltivatore diretto di ossimori che sa cambiare registro musicale e continuamente rotta, come Le navi. E così eccolo pronto a salpare dal “porto” di Fregene dove si è rifugiato («per difendermi da ciò che Roma ora non è, e che invece dovrebbe essere: un biglietto d’ingresso del bello, per tutti, romani e non») e stupire ancora la grande tribù massmediatica sanremese. Susciterà grande stupore, ne siamo certi, con la sua Argentovivo.

Un brano amaro, un dolente j’accuse a questi anni forse più vuoti che liquidi in cui un sedicenne grida disperato: «Avete preso un bambino che non stava mai fermo, l’avete messo da solo davanti a uno schermo e adesso vi domandate se sia normale se il solo mondo che apprezzo è un mondo virtuale…».
Questo è ciò che vedo e sento tutti i giorni. Canto quel sedicenne con gli occhi del genitore che assiste impotente dinanzi al “vuoto” adolescenziale. Lo faccio senza contraddittorio, che in questo caso poteva essere solo un insegnante, uno che tutti i giorni, se istituzioni, alunni e genitori glielo permettono, ha gli strumenti per affrontare la “battaglia”.

Silvestri, ci sta dicendo che siamo passati dalla sua generazionale “guerra di Piero” alla rivoluzione altrettanto sbagliata degli smartphone? Siamo in piena “guerra degli schermi”, con questi oggetti tecnologici e i social che demarcano, molto più che nel ’68 o gli edonistici anni ’80 in cui ero un sedicenne, la distanza siderale tra genitori e figli. Stiamo vivendo un tempo in cui tutto il mondo che ci interessa, pare stia tutto lì dentro a quel pezzetto di vetro. Virtuale certo, al punto che all’adolescente sorge naturale l’illusione che possa fare tranquillamente a meno del mondo reale. Siamo a un punto di non ritorno? Siamo dentro a un passaggio epocale, velocissimo, ma privi di istruzioni per riuscire a viverlo senza traumi. E questi, i primi a subirli sono gli adolescenti. Un passaggio se vogliamo vissuto in piena libertà, ma così come la stanno percependo i ragazzi questa libertà non funziona. La libertà è un bene prezioso, un diritto che va continuamente riconquistato e che deve avere delle regole e dei confini. Invece il territorio del web, lasciato completamente nelle nostre mani spesso diventa uno scenario “agghiacciante”, in cui si certifica il fallimento dell’individuo che non è in grado di gestirlo e soprattutto non è stato preparato per prevedere le conseguenze e i danni che provocherà a se stesso e agli altri.

Gravi danni sta facendo ana che un certo tipo di politica anti-migranti. L’attore Alessandro Bergonzoni gira per Bologna con addosso un cartello in cui sta scritto: «La migliore difesa è l’Attracco» . Lei ha cantato Zuccone (filastrocca di Lisa Schwarz) pensando a Matteo Salvini…
È un momento storico in cui è difficile riconoscersi in qualcosa e in qualcuno. La destra che si riconosce in Salvini comanda, pensa di decidere chi entra o chi sta fuori dall’Italia. A sinistra invece, c’è rimasto solo il Papa. Anche la politica cerca e trova il consenso nello schermo dei social, e lì dentro la violenza viaggia sempre più veloce della bontà. Sarebbe opportuno che chi ricopre il ruolo di ministro non fomenti la paura e l’odio verso l’altro… Ma il problema è che ormai si confondono i ruoli: un po’ tutti riusciamo a essere vittime e carnefici nello stesso tempo.

I suoi due singoli che girano già su Youtube, Complimenti ignoranti e Tempi modesti, già dal titolo fanno pensare che la speranza in questo momento è ridotta al suo vecchio Precario è il mondo.
Con Argentovivo quei due brani finiranno in un album che dovrebbe intitolarsi Scusate se non piango… No, io sono un ottimista lo ribadisco e spero sempre che per ogni malattia poi si trovi anche l’anticorpo. Il tema sotterraneo dell’album è l’Adhd, acronimo di disturbo dell’attenzione e della concentrazione. Il sedicenne di Argentovivo può guarire da questo e dal disagio della nostra epoca, basta che ritrovi uno slancio collettivo e che il suo grido non sia più labile e isolato come adesso. Se riesce smarcarsi dallo schermo e incontra il mondo reale, questo potrebbe cambiargli la prospettiva e indicargli una nuova via.

«Una musica può fare…» canta il suo amico Max Gazzè. Ma la musica quanto può aiutare quel sedicenne?
Purtroppo anche la musica ha fatto tabula rasa con l’illusione che «tutto già si conosce» chattando in Rete. Ai primi trapper non serviva uno straccio di base, bastava una app del telefonino che distorcendo la voce gli confezionava la canzone in pochi istanti… Il rap, il trapper, è un mondo che noi “anziani” abbiamo guardato con sospetto, sbagliando, e senza capirlo. Ma dallo scorso 1° maggio, al Concertone di Roma, quel mondo ha fatto il suo ingresso ufficiale nel palinsesto e ora marcia prepotente verso Sanremo. Non è più una moda, il rap oggi è un genere dominante.

In parte domina anche in Argentovivo visto che in calce al brano si legge: Daniele Silvestri “feat Rancore”.
Ma Rancore fa parte della vecchia scuola. È un rapper anomalo, un 30enne autore raffinatissimo pur essendo un romanaccio nato e cresciuto sui campi di battaglia della capitale. Il nostro confronto non è una contaminazione ardita, come invece mi pare siano le diverse collaborazioni tra trapper e cantanti “classici” che ora vanno tanto in voga. Se però il mix funziona, allora consente di unire un pubblico eterogeneo e può anche migliorare la qualità della musica. In caso contrario, meglio restare ognuno sul proprio terreno del «so cosa fare» e non mi allargo…

Il terreno silvestriano è cantare dolci storie d’amore, mettendoci una “paranza” di testi pieni d’ironia per poi riprendere in mano il megafono del raro poeta civile di questa musica leggera…
L’obiettivo è riuscire a dialogare con tutti, a cominciare da quegli adolescenti come i miei due figli. Pablo, ha 16 anni, è un po’ orso, ma ha ascoltato Argentovivo e ho colto nel suo sguardo che l’effetto del messaggio gli è arrivato. Santiago, 15 anni, è un trapper, si scrive già i suoi testi e ha analizzato Argentovivo dal punto di vista della metrica, ma l’interpretazione del sentimento che li riguarda l’ha colpito. Mi hanno promosso – sorride divertito – parto per Sanremo più tranquillo, accompagnato anche dal ritmo frenetico del mio terzo figlio, Oliver: ha 4 anni ma con gli strumenti musicali in mano è il più veloce di tutti… Ecco vede, è tornata la speranza.