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Lirica. Mariangela Sicilia: «Io, soprano e anche archeologa»

Pierachille Dolfini martedì 2 luglio 2024

Il soprano Mariangela Sicilia

Ha iniziato cantando Mina. « In oratorio, alle feste di paese che ci sono nella mia Calabria». Pianobar e sagre tra Parole, parole, Se telefonando e Grande grande grande. « Mi ha sempre affascinato la capacità di Mina di creare un personaggio nei tre minuti che dura una sua canzone…». Oggi è una stella pucciniana. « Il mio debutto fu a Parigi proprio con la sua Bohème ». È stata Magda nella Rondine diretta Riccardo Chailly ad aprile al Teatro alla Scala. Poi Liù nella Turandot che a inizio giugno ha aperto la stagione numero 101 dell’Arena di Verona – stagione inaugurata da un concerto/show a misura di tv dove ha cantato O mio babbino caro dal Gianni Schicchi per celebrare il sigillo dell’Unesco sul Canto lirico italiano patrimonio immateriale dell’umanità. Ed ha dato voce a Mimì, la sfortunata protagonista della Bohème, nel concerto di venerdì scorso a Lucca diretto da Riccardo Muti e trasmesso in mondovisione, cuore delle celebrazioni del centenario della morte del compositore toscano. « Unico nel creare personaggi femminili così complessi e profondi, così veri. Personaggi che amo interpretare… come quelli delle canzoni di Mina». Mariangela Sicilia ha un’agenda pucciniana per tutto il 2024. « A fine mese sarà ancora Mimì nella Bohème al Macerata opera festival» racconta il soprano, originaria di Marzi, novecento anime in provincia di Cosenza. Riccardo Muti, Antonio Pappano, Michele Mariotti le bacchette che l’hanno diretta. Graham Vick, che con lei creò la Boheme al Comunale di Bologna, Robert Carsen, Damiano Michieletto i registi con i quali ha lavorato. La Scala e il Bolshoi, Berlino e pechino, Napoli, Firenze e Torino i teatri che frequenta. « E tra una prova e l’altra corro a Roma per gli scavi archeologici al Palatino».
Scavi archeologici, Mariangela Sicilia?
«Sì. A scuola sono sempre stata brava. Mi piaceva l’arte, ma anche la matematica, la scienza e la chimica. Pur sapendo con certezza che la musica sarebbe stata la mia vita ho pensato di iscrivermi ad un corso di restauro. Anche per assecondare la mamma che ha sempre detto: Va bene cantare, ma serve anche un paracadute… Così approfittando dello stop forzato che il Covid ha imposto a noi artisti mi sono iscritta al corso di laurea magistrale in Archeologia all’Università La Sapienza di Roma. Una disciplina che analizza scientificamente l’arte. Le mie passioni. Ho scavato a Creta e al Palatino, nella squadra del professor Paolo Carafa. Una bellissima passione. Perché la musica mi prende il 90% della vita».
E quando è nata la passione per il canto?
«Prestissimo. Direi che è innata. Ci sono dei video di me alle recite della scuola materna, a tre anni, che canto a squarciagola. In famiglia non ci sono musicisti, solo il nonno suonava il mandolino. Crescendo ho scoperto Mina e mi sono appassionata nella sua voce, al suo modo di interpretare, di essere un personaggio in ogni sua canzone. Cantavo nelle piazze, alle feste e così qualcuno suggerì a mia mamma di farmi studiare».
Studi pop?
«Non esattamente. Prima lezioni private, poi mi sono iscritta al Conservatorio Giacomantonio di Cosenza. Ho studiato pianoforte per cinque anni frequentando anche le lezioni di canto corale. A 15 anni ho deciso di spostarmi sullo studio del canto. E mi sono diplomata. Ma ero affascinata anche dalla recitazione, dall’interpretare, dal mettermi nei panni di qualcun altro. Tanto che ho anche pensato di frequentare un’accademia di recitazione. Per un po’ ho fatto parte anche di una compagnia amatoriale di prosa. Poi la musica mi ha assorbito completamente… ma essendo una cantante lirica posso sfogare questa mia passione sul palcoscenico».
Quando ho capito che la musica sarebbe diventata la sua professione?
«L’ho sempre sentito, l’ho sempre pensato, non poteva essere il con-trario. Non ho mai pensato alla musica come ad un hobby. Perché vivo questa mia professione più che come una passione che è diventa una lavoro, come una vocazione. La svolta è stata sicuramente nel 2014 quando è arrivata la vittoria al concorso Operalia di Placido Domingo. L’edizione di quell’anno si svolgeva a Los Angeles ed io ero l’unica italiana in gara».
Subito il debutto con Puccini e Bohème a Parigi. Si sente un’interprete pucciniana?
«Mi sono avvicinata all’opera perché mi piace interpretare. E Puccini è l’anticamera del cinema. Nella sua scrittura non c’è divisione tra recitativi e arie, ma il racconto è un tutt’uno, una musica di conversazione, un flusso continuo come in una pellicola che cammina dall’inizio alla fine. Per me entrarci dentro è molto intuitivo, lo sento molto vicino al mio modo di esprimermi».
E che altri autori ama?
«Mozart, per lo stesso motivo di Puccini. È interessante vedere come nel corso dei secoli il recitar cantando si sia evoluto, bilanciando sempre meglio il peso tra musica e parola. Il Novecento è esemplare, ma Mozart è stato un pioniere, pensiamo alla perfezione del teatro nella trilogia di Da Ponte con Don Giovanni, Nozze di Figaro e Così fan tutte».
Regie tradizionali o regie moderne?
«Direi regia intelligenti, che mi offrono motivi validi di interpretazione per capire la modernità di un’opera. Per me la lirica è portatrice anche di un messaggio sociale, non è solo bellezza formale, che pure va assaporata. Dunque regie che parlino al nostro tempo».
Ascolta le cantanti del passato? Chi la ispira?
«Amo tutti i soprani lirici, Anna Moffo, Mirella Freni, Katia Ricciarelli, Daniela Dessì. Le ascolto e cerco di trarre qualcosa da ciascuna di loro».
Che musica vorrebbe cantare di più?
«Quella francese, la trovo adatta alla mia vocalità, un mix di fuochi d’artificio e scavo drammatico nei personaggi. Penso a Faust o Romeo et Juliette di Gounod o a Thaïs di Massenet».
Tante carriere oggi durano una manciata di anni, come non bruciarsi subito?
«Dicendo tanti no. La carriera si costruisce sui no piuttosto che sulla collezione di ruoli. La tentazione di dire sì a personaggi che sogni di fare c’è, inutile negarlo, però bisogna dire sì al momento giusto, quando la maturazione vocale e interpretativa è al giusto livello per avere anche una buona credibilità sul palco».
A chi deve dire grazie?
«A tanti, iniziando dalla mia famiglia. Ma forse soprattutto a chi mi ha giudicata in modo negativo. Perché si cresce non beandosi nel sentirsi dire quanto sei brava, ma lavorando sulle cose da migliorare».