Rivelazioni. Sicari e pentiti: l’altra resistenza
Resta da stabilire un punto di capitale importanza. Il ruolo di “Gina” in tutta questa vicenda. Indizi di non trascurabile entità, che sarebbe troppo lungo elencare in questa sede, segnalano un suo probabile coinvolgimento, in titoli di responsabilità non facili da accertare, negli scenari di alcuni fatti di sangue accaduti dopo la Liberazione. In particolare, la Caleffi sarebbe stata presente all’omicidio della partigiana “Gianna”, Giuseppina Tuissi, trucidata al Pizzo di Cernobbio, la sera del 23 giugno 1945.“Gina” rimase dunque invischiata, suo malgrado, in quella spirale di sangue, e ciò provocò in lei una violenta reazione di rigetto. In breve, la Caleffi ebbe una crisi di coscienza. Cominciò a manifestare segni di inquietudine. Si trasformò nell’accusatrice dei suoi compagni. Divenne un caso di pentitismo ante litteram. Per questo, già in quel luglio del 1945, il “tribunale della morte” decise di eliminarla. Con gli esiti che conosciamo, grazie alla dissociazione di Dell’Era.Qualche mese più tardi, il 28 aprile 1946, “Gina” ebbe modo di compiere un viaggio in auto, da Milano a Como, in compagnia del comandante “Riccardo” e di Ferruccio Parri, il leader partigiano azionista “Maurizio”, primo presidente del Consiglio dell’Italia liberata. In quell’occasione, approfittando dell’incontro riservato con lo statista piemontese, la Caleffi si scagliò, come un fiume in piena, contro coloro che avevano tradito il movimento di Liberazione. Racconta Gementi, in un suo memoriale inedito: «Volle esprimergli il rancore che provava verso i comunisti per le loro malefatte».Per il resto della vita, “Gina” portò i segni dei traumi psicologici che aveva subito. Narra ancora il comandante “Riccardo“: «Era particolarmente adirata contro Togliatti, perché, dopo aver vissuto all’ombra del Cremlino mentre i partigiani italiani morivano, al suo rientro in Patria, anziché denunciare pubblicamente le storture e le infamie di quel regime dispotico e oppressore – aggiungendo, per inciso: “peggiore del fascismo” –, lo esaltò e tentò di instaurarlo anche in Italia, trascinando Nenni ad aderire alla costituzione del Fronte Popolare del 1948 che portò al baratro il Psi e produsse gravi danni al Paese».
Nell’autunno del 1984, l’anziana reduce della Resistenza si ammalò gravemente, finendo ricoverata all’ospedale Fatebenefratelli di Milano. Le rimasero poche settimane di vita. Sufficienti, però, a rinsaldare il patto d’onore e di mutua solidarietà che aveva stretto, 40 anni prima, con Gementi e con l’altro fidato compagno, Mario Tonghini “Stefano”, l’unico superstite del terzetto, che oggi ha 93 anni.Invitata da Gementi a redarre appunti, per denunciare quanto aveva visto e saputo di quella stagione di sangue e di orrore, Nella Caleffi non riuscì a trovare il coraggio per assolvere a un tale delicato compito. Incredibilmente, aveva ancora paura. Benché già in limine mortis, confidò infatti, a “Riccardo”, che «lei voleva vivere e non morire, per mano comunista, come “Neri”, la “Gianna”, il Bianchi e sua figlia, più altri ancora».Aggiunse poi la Caleffi, rivolta al suo antico compagno di battaglie: «Ciò che più mi rammarica, è il pensiero di aver superato alla meno peggio i pericoli del periodo partigiano e di aver appurato che il pericolo maggiore derivava dai compagni di lotta, e più precisamente dai compagni comunisti. Quando, nel mese di luglio del ’45, ti telefonai per raccomandarti di circolare armato, fu un avvertimento prudenziale poiché [in tal modo] il pericolo reale poteva essere scongiurato».Era il gennaio del 1985. Pochi giorni dopo, furono celebrati i funerali di “Gina”.Oggi è Mario Tonghini a delineare i contorni del giuramento che venne pronunciato, attorno al capezzale della Caleffi, in presenza anche sua, oltre che di Gementi: «“Gina”, in ospedale, quasi in punto di morte, ci lanciò un appello plurale: “Se io non ho avuto il coraggio di fare denunce, è perché ho sempre avuto paura, ben conoscendo di che cosa sono stati capaci [i compagni comunisti]. Ma vi prego entrambi: denunciate tutto ciò che conoscete”». Ora quel giuramento è stato onorato.