La conduttrice. Severini Melograni: la tv del futuro è un ascensore sociale
Paola Severini Melograni
«Arriva l’estate, ma la disabilità non va in vacanza», è il fresco mantra di Paola Severini Melograni, volto storico della Rai culturale («ho cominciato nel 1986 conVideosapere, assieme al maestro Federico Capranica che collabora ancora con me») e anche nota come la pasionaria settimanale di Rai per il Sociale («rivoluzionata con l’arrivo della direzione di Giovanni Parapini ») da quando è al timone della trasmissione O anche No.
Il programma in onda su Rai 2 che prosegue in una versione “summer” che il compianto Franco Battiato definirebbe «in a solitary beach».
No, non sarà una spiaggia solitaria – sorride Paola Severini Melograni –, ma solo una delle poche trasmissioni che è rimasta nel palinsesto estivo della Rai. La differenza con la prima serie, nata a settembre 2019 – quattro mesi prima del drammatico lockdown – è che ora si allarga su “spiagge” più affollate, entra nelle scuole calcio “special” che si battono contro il bullismo, spalanca le porte degli oratori e vive direttamente l’atmosfera dei campus estivi.
Ma l’occhio attento di O anche no è sempre proiettato sui ragazzi disabili e i loro genitori.
Per fortuna le loro scuole sono rimaste sempre aperte anche durante l’emergenza Covid. E questo ha permesso a 700mila ragazzi con Bes (Bisogno educativo speciale) a 300mila con disabilità di vario genere e alle rispettive famiglie di non sentirsi mai soli. Noi abbiamo fatto la nostra parte con il programma e la Rai ha funzionato da volano educativo all’interno del sistema Paese che invitiamo a riflettere: quel milione di ragazzi rappresentano il nostro futuro su cui dobbiamo ragionare a fondo. E per farlo, a livello mediatico dobbiamo seguire la lezione di McLuhan: ciò che non viene raccontato è come se non esistesse.
Il suo format privilegia la narrazione e con mezzo milione di media telespettatori (in un orario difficile come il sabato mattina alle 9) ha centrato l’obiettivo di raccontare gli “invisibili”?
Ho lanciato il maestro Ezio Bosso al Festival di Sanremo del 2016 e quella sua apparizione ha cambiato per sempre la per- cezione del telespettatore riguardo alla disabilità. Ma il pericolo che si ricada nel pietismo o ancor peggio nella “pornografia del dolore” è sempre dietro l’angolo e questo il servizio pubblico non deve permetterlo. Anzi, la Rai deve farsi carico anche di quel 40% di anziani che nonostante l’innovazione tecnologica accelerata dal Covid non saranno mai pienamente dei cittadini digitali e soprattutto non avranno i soldi per permettersi l’abbonamento alle piattaforme. Per loro quindi il servizio pubblico dovrà essere sempre più assistenziale e di qualità eccellente.
A volte invece quel servizio spende 100mila euro per un’apparizione di Belen per il varietà di Rai 1 laCanzone segreta.
Quella è una pagina che meriterebbe un approfondimento, ma da parte di un magistrato. È troppo facile avere George Clooney superospite quando tu dirigente fai staccare all’azienda di servizio pubblico un assegno a cinque zeri. Chi lavora occasionalmente per il servizio pubblico dovrebbe farlo senza ricevere un compenso. A O anche noCarlo Verdone è venuto quattro volte ospite, e sempre gratis. Chi, una tantum, ha preso un gettone di rimborso lo ha rimesso a disposizione di progetti solidali che stavamo approfondendo. Forse è anche per questo senso etico, che coinvolge protagonisti e ospiti delle nostre storie, se dall’America ci hanno premiato con l’Oscar televisivo.
«Offrire spazi alternativi in tv» è la sua missione da sempre...
Oltre ai disabili non dobbiamo mai dimenticare tutte le fasce deboli: anziani, poveri, immigrati, che ci guardano e che attendono delle risposte dal servizio pubblico. In qualità di presidente del Comitato Internazionale Arturo Toscanini sto lavorando a un docufilm su “Parma capitale italiana della cultura” e il sindaco Pizzarotti mi informa che il 15% della popolazione parmense è composta da immigrati, in maggioranza di origine senegalese. La Rai, come fece alle sue origini, dinanzi a questa corposa fetta di pubblico straniero può permettersi di salire in cattedra e farsi “insegnante” della lingua italiana. Deve far ritrovare la lingua persa agli stessi italiani e agire parallelamente all’attuale governo di unità nazionale per una unificazione linguistica e culturale del Paese.
Citando il filosofo Karl Popper, dunque la tv del terzo millennio deve smetterla di essere “cattiva maestra”?
Dagli anni ’80, complice anche la concorrenza delle tv commerciali, è iniziata una deriva generale con la graduale perdita di valori e di significati. Tutto non è uguale a tutto, e quando Carlo Freccero, grande mèntore di O anche no parla di «alto e basso», non vuol dire che il basso pregiudichi il contenuto alto, ma che anzi può, artisticamente parlando, elevarlo ancora di più. Gli esempi di trasmissioni Rai di successo che sono andate in quella direzione sono state tante, ma a me più che Popper piace citare un libro di Claudio Martelli, il cui titolo è quanto mai evocativo: Il merito e il bisogno.
È un saggio del 1987, prova nostalgie per la Rai del periodo socialista?
No, ma è la dimostrazione che una società esclusivamente meritocratica privilegia soltanto i forti e i potenti che possono permettersi di mandare i figli nelle scuole private o a studiare all’estero. Noi invece, oltre al merito dobbiamo tenere conto dei bisogni di tutti e lavorare per una partenza alla pari, specie in questo momento di riequilibrio dopo quella che giustamente papa Francesco ha definito una «guerra a pezzi». Dobbiamo agire e servire da ascensore sociale. La mia esperienza personale ha già beneficiato della possibilità di ascesa attraverso questo ascensore che è la televisione pubblica.
In una precedente intervista a Avvenire lei disse che i suoi grandi maestri sono stati Zavoli,Tommasini, Basaglia e don Oreste Benzi.
Aggiungo Domenico Modugno, anche con lui andammo ad aprire il manicomio di Agrigento e ritrovai con grande emozione lo stesso uomo che da ragazzina avevo ammirato nel musical Rai del Rinaldo in campo. Così come Alberto Sordi, ormai anziano, mi diede la più grande lezione di come il denaro sudato lavorando per il cinema e lo spettacolo doveva essere messo a disposizione dei tanti centri di cura per anziani a cui, alla sua morte, ha destinato gran parte dell’eredità. E poi, non posso dimenticare l’incontro della vita, quello con Madre Teresa di Calcutta, donna Santa che mi disse: «Apri il giornale!» e così fondai la rivista Angeli, il cuore pulsante di Angeli Press che oggi è la più grande agenzia di informazione, libera e gratuita, del Terzo Settore.
È anche per quel Terzo Settore che adesso si è candidata alla presidenza della Rai?
Il 19 giugno compio 65 anni, sono una donna che non teme il tempo e che non ha paura di essere smentita quando dico che quasi tutta la mia vita l’ho dedicata al sociale e ai più deboli. Non ho targhe né partiti alle mie spalle, ma credo da sempre nella politica come servizio di altissimo valore civile a vantaggio del cittadino, che per la mia lunga esperienza in video, identifico prima di tutto nel telespettatore.