Intervista. La rivista "Studi cattolici" compie... 700 numeri
Cesare Cavalleri. 83 anni, direttore di Ares e di "Studi cattolici"
Pareti di libri e silenzio. In sottofondo solo il picchiettio sulla tastiera del computer non appena si varca il suo studio. Alla scrivania lavora alacremente il direttore più longevo della storia del giornalismo italiano: «Sto finendo un articolo…». Dal 1965 Cesare Cavalleri dirige la casa editrice Ares e la rivista Studi cattolici che questo mese festeggia i suoi settecento numeri. Un altro record di cui andar fieri ma lo sguardo è già proiettato al domani: «È già pronto il numero 701. Ogni traguardo è sempre una ripartenza». Cravatta e bretelle british, critico letterario raffinato e controcorrente, a 83 anni Cavalleri, originario di Treviglio (Bergamo), continua a scrutare il panorama culturale dalla nuova luminosa redazione che sporge sul Parco delle Basiliche a Milano. Del resto Studi cattolici vuole essere da sempre un attento “cannocchiale” della realtà: «Importante è non guardarlo al rovescio» precisa con una delle sue tante fulminanti osservazioni. La rivista si è data una missione che si fa ogni giorno più difficile: «Siamo travolti dall’informazione e ci mancano i filtri per decifrarla. Ogni mese vogliamo allora aiutare la gente a selezionare in questo mare di notizie qualcosa che vale la pena di trattenere, qualche pesce possibilmente grosso, 153 o anche meno», aggiunge richiamando la metafora evangelica per l’intera umanità.
Numerario dell’Opus Dei, Cavalleri è stato segnato dall’incontro con san Josemarìa Escrivá, al quale il nome della rivista proprio non piaceva: «Secondo lui non c’era il bisogno di sottolineare l’ispirazione. C’è tuttora infatti la contraddizione di fare un discorso non confessionale sotto una testata confessionale. Ma Studi cattolici nacque nel 1957 all’ombra della cupola di San Pietro in ambito curiale… Però in fondo il nome della rivista dà più fastidio a noi che ai lontani, per loro anzi è meglio perché «così si capisce subito chi siete» dicono. Ma poi anche se se ci chiamassimo “Studi primaverili” saremmo comunque cattolici. Il nome non è stato mai un limite, il pluralismo è insito nella cattolicità e di fatto tra i collaboratori ci sono da sempre estrazioni diverse».
Decisivi per la nascita furono gli anni prima del Concilio: «C’era l’esigenza di dare ai laici uno strumento di formazione e difatti la nostra era una “rivista di teologia pratica”. Bisognava far qualcosa per un’evangelizzazione ancora poco aperta al dialogo». Oggi il problema più grande è l’indifferenza: «La gente rinuncia a porsi domande. È il “relativismo scevro” come dice Checco Zalone in un film…». Per questo la rivista non si preclude nessun argomento: «Vogliamo che chiunque trovi qualcosa da leggere. Ci siamo sempre occupati di tutto, anche dello sport». Non manca il cinema («Il mio film preferito è Il pranzo di Babette») o la televisione: Cavalleri cominciò proprio come critico televisivo la sua collaborazione con Avvenire che, altro record, risale al primo numero del 1968.
Lo spirito battagliero è sempre vivo, e sebbene i tempi siano cambiati, la penna sa essere infuocata proprio come queste roventi mattine di inizio estate: «Negli anni Settanta scrissi in un editoriale che Pannella, Faccio e Bonino in quanto sostenitori dell’aborto, erano moralmente assassini. Loro mi denunciarono, ma poi fui assolto con formula piena. E ancora oggi non mi pento. La difesa e la promozione della vita sono tuttora al centro del nostro lavoro». Tanti i collaboratori illustri, alcuni dei quali ti guardano dalle fotografie appese alle pareti. Come Benedetto XVI: «In un’udienza gli dissi che dirigevo la rivista da cinquant’anni. Esclamò sorpreso: “Ma allora ha cominciato da ragazzo!”». Eppure sono tanti i primati di Studi cattolici: «Siamo stati i primi a intervistare Wojtyla quando era cardinale di Cracovia e non lo conosceva nessuno. Abbiamo raccolto i suoi interventi in un librino che uscì appena fu eletto papa. Lui stesso lo regalò insieme con un panettone a tutti i dipendenti vaticani nel Natale del 1978… La sua convinzione di far sì che la fede diventi cultura è anche alla base del nostro impegno».
Tanti i temi affrontati, ma campo d’azione privilegiato è la critica letteraria, con una premessa d’obbligo: «La letteratura “cattolica” non esiste. Questo non vuol dire però che non ci sono libri buoni o cattivi. Non è detto però che un libro scritto bene sia anche cattolico. Lo è se attinge in qualche misura alla Verità. Per cui attenzione, ci sono autori che pur non essendo cattolici, come Flaiano che io amo, sono molto più cattolici di autori “confessionali” come Santucci o Turoldo». Grazie dunque anche alla sua casa editrice, Ares, che stampa ormai 40 libri all’anno, ha contribuito a far conoscere autori imprescindibili come Eugenio Corti: «Il suo romanzo, Il cavallo rosso, ti prende anche con le sue 1280 pagine, e difatti è arrivato alla 33esima ristampa. Lo si studia ormai anche nelle scuole, grazie a un estratto La storia di Manno (Mursia)».
Certo Cavalleri non si è mai tirato indietro dallo “stroncare” se necessario: «Ci sono autori che andrebbero studiati di più come Alessandro Spina, Pier Maria Pasinetti, Raffaele Carrieri tra i poeti. E altri sopravvalutati come Alda Merini, assolutamente dimenticabile. Ma sia chiaro le mie stroncature non riguardano le persone, ma sempre e solo le opere». Ma è opportuno qualche distinguo: «Anche all’interno della produzione di un autore alcune opere sono riuscite altre no, a cominciare dal mio amatissimo Buzzati. Più che Il deserto dei Tartari lui eccelle nei pezzi brevi. La tradizione romanzesca non è italiana. Non li sappiamo scrivere, scriviamo racconti un po’ stiracchiati… Grandi romanzi sono invece quelle di Tolstoj come Guerra e pace. Pure Dostoevskji certo, anche se tutto quel dolore è un po’ eccessivo, affligge...». Un aiuto per districarsi oggi viene da una storica e originale rubrica di Studi cattolici: la doppia classifica, i libri venduti e quelli consigliati: «Occhio ai best seller: se vendono molto non si può mai dare degli imbecilli ai lettori. Ma il limite del best seller è che non si può rileggere mentre i libri andrebbero riletti. E invece tutti questi gialli, una volta che sai come va a finire poi non te ne importa niente. Il nostro Montalbano per esempio. E tra i best seller ci sono anche i libri di Umberto Eco, come Il nome della rosa un libro anticristiano».
Una rivista schietta, ma che non disdegna l’ironia e l’autoironia: «Una volta avevamo una rubrica che si chiamava “Studi gattolici”. L’ironia è un risvolto dell’intelligenza, non bisogna mai prendersi troppo sul serio». L’invasione della tecnologia non spaventa: «Il digitale va bene per consultare. Ma se si vuole leggere e studiare ci vuole la carta: giornali e riviste non spariranno. I nostri lettori sono quasi tutti abbonati, ma niente numeri: sarebbe come chiedere l’età a una signora». Una fiducia nella carta testimoniata anche dalla nuova redazione pensata come moderno salotto letterario, un luogo aperto a tutti per conversare (in un tempo in cui non lo si fa più) di cultura a 360 gradi. Proprio come i poliedrici interessi di Cavalleri: «In passato ho studiato il sumerico, consulto il libro della saggezza cinese e sono un cultore dell’astrologia che non va confusa con le banalità degli oroscopi». Anche se l’ultima insospettabile passione è un’altra: «La danza. Si è sempre danzato da Davide dell’Antico Testamento ai giorni nostri. È una forma d’arte che avevo trascurato e che invece mi piacerebbe praticare se non occorresse una certa fisicità…». Avanti tutta allora, (martedì dalle 16 festa presso la sede di via Santacroce 20/2) senza rimpianti (« Je ne regrette rien come cantava Èdit Piaf») e custodendo il regalo più bello: «l’affetto di amici e collaboratori ». E poi «per arrivare a 107 anni come Gillo Dorfles c’è ancora tanto tempo».