Il convegno. Il sacro è sempre in cerca delle sue sette note
Il coro della Cappella Sistina
Il 5 marzo 1967 veniva pubblicata l’istruzione Musicam Sacram, uno dei documenti chiamati a rendere attuativa la costituzione Sacrosanctum Concilium con la quale il Concilio Vaticano II aveva tracciato la riforma della liturgia. Il Pontificio Consiglio della Cultura, in collaborazione con la Congregazione per l’Educazione cattolica, ha organizzato a Roma un convegno di tre giorni dedicato a “Musica e Chiesa. Culto e cultura a 50 anni dalla Musicam Sacram” che si chiude oggi. L’obiettivo è quello di «stimolare una riflessione profonda – a livello musicale, liturgico, teologico e fenomenologico – che oltre le polemiche sterili, possa essere una proposta positiva per un culto cristiano, espressione di lode a Dio». Una proposta che ha suscitato grande attenzione. I 350 partecipanti (quota massima prevista, molte le domande inevase) arrivano, oltre che da tutta Europa, da Usa, Canada, Bolivia, Colombia, Honduras, Uruguay, Trinidad e Tobago, Costa d’Avorio, Nigeria, Congo, Filippine, Corea del Sud. Molti sono i giovani, laici e religiosi. Una partecipazione che «riflette il bisogno e la centralità della musica nelle comunità cristiane disperse nelle diverse culture» ha sottolineato aprendo il convegno Carlos Moreira Azevedo, delegato del Pontificio Consiglio della Cultura. I contributi del pomeriggio di giovedì hanno delineato il quadro del discorso. Il cardinale Gianfranco Ravasi ha tracciato un percorso sulla presenza e il significato della musica nel testo biblico (il cui contenuto è stato anticipato su queste pagine mercoledì scorso). Michele Dall’Ongaro, presidente dell’Accademia di Santa Cecilia, ha sottolineato come «il contesto attuale stia modificando l’idea di musica che molti di noi hanno avuto e hanno ancora», mettendo in crisi la definizione di «linguaggio universale » per evidenziare come invece sia spesso un mezzo capace di «fornire identità diversificate». La parcellizzazione identitaria ha fatto sì che «possano convivere tante opere di riferimento quante sono le comunità di ascoltatori». Allo stesso tempo, spiega Dall’Ongaro, la musica ha espanso il proprio dominio, acustico e tecnologico. «Oggi il mondo è molto più musicale. Si fa musica con molte più cose, il concetto di musica si è allargato. Vale forse allora quello che affermava Berio: “Musica è tutto ciò che ascoltiamo con l’intenzione di sentire musica”». Il compositore inglese Paul Inwood, autore dell’inno del Giubileo della misericordia, ha proposto un intervento costituito soprattutto di domande «Cosa rende una musica sacra? Lo stile? Il tipo di armonia o di melodia? Un testo sacro applicato a una musica profana ne può rivelare la sacralità interna? L’uso di musica secolare nella liturgia sacralizza la musica o secolarizza la liturgia? Liturgica è musica per la celebrazione, al di là dell’aspetto estetico. Ma possiamo avere una musica che è 'dentro' la liturgia, senza che sia davvero 'della' liturgia. A mio avviso la musica dovrebbe calzare la liturgia come un guanto».
La giornata di giovedì ha visto interventi di tipo storico, teologico, estetico e liturgico. Il domenicano Fergus Ryan, ricostruendo il complesso dibattito sulla nuova liturgia, ha illustrato la Musicam Sacram nel contesto storico, illustrando come l’istruzione si situi in un contesto di transizione, tra il Concilio e il nuovo Messale romano di Paolo VI, del 1969, il quale, a riforma compiuta, «ha reso l’istruzione obsoleta». Se storicamente la Musicam Sacram ha avuto dunque poche ricadute pratiche, secondo Jordi Piqué, benedettino e preside del Pontificio istituto liturgico Sant’Anselmo, il contenuto teologico del documento è invece vitalmente attuale. «La ministerialità della musica liturgica è un’idea liturgico- teologica illuminante» afferma nel suo intervento, letto a causa di una indisposizione. Occorre però superare un problema semantico sul termine "sacro". « Sacrosanctum Concilium e Musicam Sacram favoriscono una pratica musicale che avvii verso una partecipazione consapevole alla forma liturgica. Ma quando devono definire le forme usano un linguaggio mutuato dalle scienze umane, in cui 'sacro' ha altre accezioni: privato, riservato. Ossia l’opposto del liturgico, che è comunitario. Il problema della sovrapposizione semantica si ripete con la musica contemporanea: i modelli proposti dai documenti attingevano alla formalità, mentre il mondo della cultura tendeva al superamento della forma». Liberata del contingente storico, «l’intuizione dell’istruzione passa per un’applicazione musicalmente traducibile nella prassi liturgica e si traspone in costruzione ecclesiale. Una linea che uscendo dal formalismo consente di evitare sia le fughe per il nuovo o il trincerarsi nella tradizione come identità. Il traguardo invece è la partecipazione come elemento teologico ». La musica nella liturgia cessa di essere semplicemente un linguaggio. «Il bello viene trasportato verso una comprensione maggiore del mistero celebrato. La musica diventa un metalinguaggio che può dire qualcosa dell’ineffabile. Bisogna attingere a queste categorie, altrimenti il linguaggio affonda nei limiti del proprio tempo: e quindi è destinato a essere sempre sorpassato. Fermarsi alla dimensione estetica è fuorviante. Ridurla a identità di gruppo tradisce lo scopo. Così si può dialogare con la contemporaneità e recuperare i tesori del passato, mentre le forme di attuazione sono infinite e infinitamente inculturabili. Forme eloquentemente rilevanti e esteticamente attraenti rendono rilevante il rapporto tra Dio e il suo popolo. Gli stili di ogni epoca diventano metalinguaggi, integrati nel grande linguaggio della liturgia. Le forme in cui questa musica si attua, nella partecipazione attraverso il canto e il silenzio dell’ascolto, divengono collaborazione all’azione di grazia. Si può parlare di una 'quasi sacramentalità' della musica nella liturgia».
Il superamento della rigidità ideologica si riverbera in diversi interventi che esplorano la varietà delle esperienze sviluppatesi in risposta alle sollecitazioni culturali. Suor Marana Saad, libanese, ha affrontato il tema di «nuove musiche per nuove comunità » aprendo alle espressioni del mondo giovanile, «cercando oltre i cliché, ma fatti salvi gli elementi qualitativi, di individuare i fattori di una nuova dimensione culturale ». Se Chiara Bertoglio ha portato una riflessione personale sul tema “Valorizzazione del patrimonio storico musicale”, Miriam Escudero ha raccontato il lavoro della Chiesa di Cuba, un’esperienza di ricerca e rinascita come rifondazione religiosa e culturale, a cui ha affiancato un excursus dal ’500 fino alla nascita di un «repertorio creolo in cui le varie appartenenze etnico culturali si sono fuse in un unicum. L’amalgama musicale di identità è la sintesi della cattolicità cubana». Il tema della inculturazione, con prospettive anche divergenti sul rapporto con la tradizione latina, è stato affrontato dal portoricano padre René Velez, l’ivoriano Dominique Anoha Clokou, e la suora sudcoreana Veronica Yong. Il compositore catalano Bernat Vivancos ha sottolineato gli stimoli che la musica liturgica può dare alla musica contemporanea e le opportunità che dare lo spazio a compositori di oggi può offrire alla vita della Chiesa. «La musica liturgica è un’arte che si alimenta a una tradizione vasta e ricca. Dobbiamo incrementarla, sentendola come una forte catena che lega tutto il corso della storia. La musica liturgica non può prescindere da parole come emozione, vitalità, gioia, trascendenza. Sono gli elementi che hanno caratterizzato la catena. Senza, perdiamo il senso della tradizione. La musica per il servizio al culto non può conformarsi a una musica funzionale, ma allo stesso tempo ha una finalità ben precisa che costituisce la sua essenza. Non è detto che debba essere semplice. Bisogna osare, stimolare l’orecchio di chi ascolta. Il salmo dà un’indicazione importante: "Cantate al Signore un canto nuovo". Non un canto qualsiasi o già cantato». Alla musica per la liturgia più che una norma serve la potenza viscerale della poesia. Come ha sintetizzato il teologo benedettino Elmar Salmann: «Le arti e la religione cifrano e rivelano il mistero indicibile, inesprimibile, invisibile, lacerante e lancinante e confortante della vita».