«Durante il mio primo soggiorno a Roma, mi trovavo da solo in un ristorante. Udivo delle signore che parlavano in dialetto e non comprendevo una parola. Poi, di colpo, ho avuto l’impressione chiarissima di ascoltare un’opera di Scarlatti. Parlando, emettevano note di Scarlatti. È stato un momento magnifico». Michel Serres è uno dei filosofi viventi più studiati, per i suoi saggi e le sue luminose intuizioni su scienza ed ecologia. Nel suo buen retiro alle porte di Parigi, l’accademico di Francia, nonché ex ufficiale di marina ed instancabile viaggiatore, ricorda di aver voluto insegnare espressamente nelle università di ogni continente. Ma in mezzo al vortice di citazioni e riferimenti che spaziano dall’antichità ai giorni nostri, l’Italia e il 'laboratorio italiano' tornano di continuo. Sicché il Premio Nonino appena conferito al filosofo – «il suo pensare, sovente poetico, spazia in ogni campo del sapere», recita la motivazione – sembra pure il coronamento di una lunga storia d’amore con il nostro Paese.
Professore, com’è cominciata la sua relazione con l’Italia? «Risale all’infanzia. Mio padre vendeva sabbia e quasi tutti i suoi clienti erano italiani. Sentivo parlare in italiano quasi quanto in francese. In America, poi, ho insegnato nei French and Italian department. I miei migliori amici erano spesso degli italianisti. E l’ultima volta che ho costeggiato Stromboli, verso le 4 del mattino, ho assistito a una minuscola eruzione. Mi sono detto con emozione che era in onore della mia vita a contatto con l’Italia».
Di eruzioni nel Meridione, lei parla anche in Biogée, uno dei suoi ultimi saggi... «Ho cercato di mostrare che la Sicilia è una sorta di microcosmo la cui storia è segnata da tre grandi scienziati: Empedocle e Archimede nell’antichità e poi, ai giorni nostri, Ettore Majorana, quello che mi affascina di più. Quand’ero ragazzo, era per me un eroe. È lecito pensare che comprese, prima di scomparire in circostanze misteriose, gli esiti futuri dell’energia atomica e che preferì rinunciare. Le sue scoperte e intuizioni ricordano in modo affascinante gli specchi ustori costruiti a Siracusa da Archimede, il più grande scienziato dell’antichità, così come l’Etna di Empedocle, il quale descrisse gli elementi già nel V secolo avanti Cristo. Se aggiungiamo la bomba atomica, siamo davanti a tre 'figure di fuoco' che offrono un’immagine della Sicilia come microcosmo del mondo contemporaneo».
A un altro italiano, Galileo, è attribuita la nascita della scienza moderna. Che ne pensa? «Personalmente, la più grande scoperta di Galileo non mi sembra la rotazione della Terra, ma il fatto di aver detto che il mondo è scritto in linguaggio matematico. Nel secolo scorso, questa scoperta è stata confermata dal codice del Dna e dell’Rna nel mondo vivente. In un certo senso, ciò ha reso davvero universale la scoperta di Galileo ».
Lei si è molto dedicato pure allo studio del filosofo e scienziato tedesco Leibniz, la cui ricerca di un’armonia pare aver ispirato la sua teoria del 'contratto naturale' fra uomo e ambiente. Ma in una conferenza, lei ne ha attribuito la vera paternità a san Francesco d’Assisi. Perché? «Nell’opera di san Francesco, in particolare nei Fioretti, osserviamo qualcosa di assolutamente nuovo. All’epoca, il cristianesimo è una religione cittadina, ben più che rurale. I principali teologi sono diffidenti verso la campagna, che resta un po’ animista e pagana. San Francesco ristabilisce la simmetria e riesce a riconciliare il cristianesimo e la campagna. Perciò non ho più alcun dubbio sul fatto che sia l’autentico padre del contratto naturale. Ispirandoci anche a simili slanci creativi e di fusione, oggi dovremmo inventare un’Europa con nuove comunità, dato che le vecchie meritano spesso di essere riviste. Per questo, ho di recente invocato nuove forme di fusione fra i popoli europei, non solo nel caso delle relazioni fra francesi e tedeschi. In questo spirito armonico, potremo trovare probabilmente pure delle soluzioni alla crisi attuale, che non si riduce di certo alla sola dimensione finanziaria».
Proprio alla crisi odierna, lei ha dedicato un libro... «Non sono un economista e non posso rispondere sugli aspetti tecnici della crisi finanziaria. Ma ho cercato di mostrare con vari argomenti che stiamo vivendo un momento della storia estremamente originale e nuovo, nel quale molti parametri sono stati stravolti in pochi decenni. Si pensi al mondo contadino, alla salute, all’allungarsi della vita media e alla demografia. Viviamo una fase di transizione estremamente nuova di cui la crisi finanziaria è probabilmente solo un elemento. Direi che si è aperto un crepaccio nella storia dell’Occidente, il cui dominio è del resto messo in discussione. Più che mai, dovremo dimostrarci creativi. Anche per questo, sul piano morale, dopo la bomba atomica e altri disastri, ho proposto che il mondo scientifico adotti una sorta di giuramento individuale degli scienziati, un po’ come fece Ippocrate in campo medico».