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Il giurista Supiot. «Senza coscienza del limite non c'è diritto né giustizia»

Simone Paliaga martedì 3 agosto 2021

L’illimitato, il superamento dei limiti sembra essere la cifra caratterizzante il mondo di oggi. Ne parla in La sovranità del limite (Mimesis, pagine 216, euro 18,00) Alain Supiot, professore emerito del Collège de France e membro della Commissione mondiale sul futuro del lavoro.

Cosa significa l’espressione “sovranità del limite”, professore?

L’idea si ispira a Simone Weil, una delle più grandi menti del XX secolo. Nel suo libro La prima radice, scritto a Londra poco prima di morire, nel 1943, critica la sentenza di Hitler per cui “la forza regna ovunque e da sola domina la debolezza”. A essa, che esprime rozzamente una convinzione ampiamente condivisa nella civiltà occidentale, risponde che “la forza bruta non è sovrana quaggiù. È per natura cieca e indeterminata. Ciò che è sovrano qui è la determinazione, il limite”. Purtroppo il suo messaggio è rimasto inascoltato. Le correnti principali della filosofia politica, della sociologia o dell’economia hanno ridotto qualsiasi tipo di rapporto umano a un rapporto di dominio rimanendo cieche dinanzi ai limiti delle risorse del pianeta. Le molteplici crisi che ci assalgono oggi ricordano che gli uomini incapaci di autocontrollo sono condannati a raggiungere il loro limite catastrofico, come Hitler nel suo bunker il 30 aprile del 1945.

Simone Weil batte Carl Schmitt, dunque?

Schmitt, giurista cattolico e nazista, come Hitler fa del potere il segno della sovranità. L’opposizione con Weil diventa più chiara risalendo ai dibattiti medievali sull’Onnipotenza divina. Per alcuni, questa onnipotenza è assoluta, così che non esiste ordine nel mondo che non possa essere abolito in qualsiasi momento dalla volontà di Dio. Per altri, si tratta di una Onnipotenza ordinata: Dio si sarebbe autolimitato per lasciare spazio alla sua creazione e alla libertà umana. L’idea dell’autocontrollo di Dio si trova anche nella nozione ebraica di tzimtzum. Sovrano è chi afferma l’onnipotenza della propria volontà o chi possiede in sé il senso dei limiti della volontà? La questione si pone da quando la nozione di sovranità è stata secolarizzata per diventare, da Bodin e Descartes, l’attributo dei re e poi degli individui.

Come interiorizzare il limite?

Sul piano politico, la risposta è data da Montesquieu. “Perché non si abusi del potere, il potere deve fermare il potere”, quindi la costituzione deve garantire la separazione dei poteri. Sul piano individuale, l’interiorizzazione è l’oggetto primario dell’educazione che istituisce l’essere umano, cioè accompagna la sua crescita come il tutore sostiene la pianta finché non ne ha più bisogno. Interiorizzare le regole è una condizione di libertà. Per esercitare la libertà di espressione, per esempio, bisogna sottomettersi prima alla legge di una lingua! Più in generale, è sovrano chi non ha bisogno di un padrone perché è padrone di se stesso.

Perché affrontare oggi la questione del limite?

Perché il neoliberismo sta raggiungendo il suo limite catastrofico! A differenza del liberalismo classico, che poneva i calcoli di utilità individuali sotto l’ombrello di una legge comune, il neoliberismo pone la legge sotto l’ombrel- lo dei calcoli di utilità. La legge non si fonda più su un’ideale di giustizia deliberato democraticamente, ma su una ricerca di efficienza economica a breve termine. Se c’è una lezione da imparare dalla storia del diritto, è che un ordine politico la cui legge primaria è la competizione di tutti contro tutti, genera necessariamente violenza. Lo sapevano già gli antichi greci, che condannavano la pleonessia, l’accumulo illimitato di ricchezze. E l’Organizzazione internazionale del lavoro, l’ILO, lo conferma affermando “che solo sulla base della giustizia sociale si può stabilire una pace duratura”. Ignorando questa osservazione, che ora va estesa alla giustizia ambientale, ci si condanna a uno shock con la realtà di cui l’implosione finanziaria del 2008 e l’attuale pandemia globale non sono altro che sue manifestazioni.

Che ruolo ha il Diritto?

Non si dovrebbero né sopravvalutare né sottovalutare le risorse del Diritto, che Simone Weil pone in una regione intermedia tra il Cielo della giustizia e l’Inferno della forza bruta. Ma è chiaro che promuovendo il law shopping e una corsa al ribasso verso il sociale e l’ecologia, la globalizzazione mina il rule of law. Serve un nuovo salto normativo, che, come nel dopoguerra, promuova regole adatte alle nuove sfide tecnologiche, ecologiche e sociali.

E la governance digitale?

Il Diritto, la democrazia, lo Stato e tutti i quadri giuridici sono travolti dalla rinascita del vecchio sogno occidentale di armonia fondata sul calcolo. Riattivato prima dal taylorismo e dalla pianificazione sovietica, questo progetto scientista assume ora la forma della governance attraverso i numeri, sotto l’egida della globalizzazione. La ragione del potere non si trova in un’istanza sovrana che trascende la società ma in norme inerenti al suo corretto funzionamento. Prospera così un nuovo ideale normativo, che mira alla realizzazione efficace di obiettivi misurabili piuttosto che all’obbedienza a leggi giuste. Sospinto dalla rivoluzione digitale, il nuovo immaginario istituzionale è quello di una società in cui il diritto lascia il posto al programma e la regolamentazione alla regolazione. Ma quando la sicurezza non è garantita da una legge uguale per tutti, gli uomini non hanno altra scelta che giurare fedeltà al più forte. Radicalizzando l’aspirazione a un potere impersonale, che già caratterizzava l’imporsi del regno della legge, la governance coi numeri dà origine paradossalmente a un mondo dominato da vincoli di fedeltà.

Che cos’è il principio di solidarietà? Può porre un limite alla globalizzazione?

A differenza dell’assicurazione privata, che si basa sul calcolo attuariale del rischio, un regime di solidarietà si basa sull’appartenenza a una comunità, sia essa nazionale, professionale o familiare. I membri di questa comunità più fortunati e meno esposti al rischio contribuiscono di più dei meno fortunati o dei più esposti, per avere gli stessi diritti. A differenza dell’assistenza o della carità, la solidarietà non divide il mondo tra chi dona senza ricevere e chi riceve senza donare. Tutti contribuiscono secondo le proprie capacità e ricevono secondo i propri bisogni. Dovrebbe essere uno strumento potente per passare da una logica della globalizzazione, che mette in competizione tutti contro tutti, a una logica della mondializzazione, cioè di solidarietà tra nazioni rispettose della diversità delle loro storie e culture. Così, ad esempio, la questione della migrazione non sarà risolta né dalla costruzione di muri né dall’abolizione dei confini, ma dalla solidarietà tra i paesi del nord e del sud, in modo che tutti i giovani africani non siano costretti all’esilio per poter sperare di vivere con un lavoro decente.