Agorà

CINEMA. Se un film va a caccia di Benladen

Emanuela Genovese mercoledì 14 luglio 2010
Già il titolo è tutto un programma. Che fine ha fatto Osama Bin Laden?, il film di Morgan Spurlock punta tutto sulla satira politica. La domanda guida tutto il percorso di Spurlock, che prima di diventare padre, si domanda se il mondo è sicuro per il primogenito in arrivo. Il nemico numero uno da combattere sembra proprio il capo di Al Qaeda e Spurlock, che in Super Size Me ci aveva dato prova di quanto fosse capace di immedesimazione, si prepara, si allena con il corpo e con la lingua per andare a caccia di Bin Laden, attraversando l’Egitto, il Marocco, Israele, l’Arabia Saudita, l’Afghanistan fino al Pakistan. Un viaggio all’interno di realtà dure dove per la prima volta gente della strada ha voce e dove emerge una realtà più eterogenea, capace di condannare il terrorismo e di mostrare una religione come quella musulmana in tutte le sue sfaccettature.Mr. Spurlock nel film ha cercato di raccontare, intervistando gente della strada, iman, familiari di Bin Laden, l’origine dei conflitti e delle distanze tra l’Occidente e l’Oriente. Perché? «Dopo aver realizzato Super Size Me, mi sono convinto sempre di più che il giornalismo d’inchiesta e il docu film fa emergere, al di là dei pregiudizi, infiniti e interessanti modi di raccontare la realtà, soprattutto quando si diventa una "sola cosa" con l’ambiente e con le persone».Come nel primo film ha messo a rischio la sua persona. Mentre sua moglie era in attesa del figlio ha iniziato il suo viaggio in Oriente, in territori di guerra. Era necessario rischiare a tal punto per poter realizzare un film significativo e realistico? «Non so se il rischio sia necessario sempre per chi vuole realizzare un vero documentario d’inchiesta. Per me e per le storie che racconto è necessario. La mia famiglia influenza tutto ciò che io faccio. Quando ho saputo di essere padre ho pensato alle scelte che avrebbe potuto fare mio figlio. Spero sia fiero di tutto quello che ho realizzato».Realizzando documentari è davvero possibile offrire un altro punto di vista alla gente comune? «Mi considero parte della gente comune e allo stesso tempo cerco di esplorare un tema e di mettermi nei panni degli altri, cercando di guardare la realtà dal loro punto di vista».