Filosofia. Se la vera storia è un'idea di futuro
Karl Marx.
Nei nostri licei l’insegnamento della storia e della filosofia è affidato allo stesso docente. Si tratta di una concezione che prevede un presupposto: da un lato la 'filosofia della storia' e dall’altro la storiografia come il miglior modo per conoscere l’essenza di ogni realtà e attività umane. Naturalmente questa idea risale all’idealismo di Hegel, si sviluppa poi con Marx nel rovesciamento dell’idealismo in materialismo e arriva, in Italia, a Croce, che a sua volta rovesciò all’inizio del Novecento il marxismo in idealismo liberale. Che sia la storia dello Spirito o la storia delle lotte di classe, ciò che conta è comunque la storia: sono i processi e gli eventi attraverso cui le cose cambiano e certe cause provocano certi effetti più o meno inevitabilmente. Tuttavia, per molti filosofi, oltre alle filosofie della storia, c’è dell’altro. Ci sono per esempio la logica e la metafisica: cioè, sia le modalità del pensare correttamente per distinguere il vero dal falso, sia l’intuizione che trascende tempo e spazio, la visione di qualcosa che sta oltre i fenomeni comunemente percepibili: una gnosi di verità extrastoriche che il divenire della storia non modifica. Dopo circa un secolo di storicismo dominante e di storicismi conflittuali e concorrenziali, nel Novecento e in questi ultimi decenni proprio la logica e la metafisica, l’epistemologia o teoria della scienza e l’ontologia o conoscenza delle essenze, si sono divise il campo. Il conflitto è tanto evidente quanto latente: le due tendenze, quella logica e quella metafisica, sono infatti così inconciliabili da ignorarsi reciprocamente. Per i logici la metafisica è pura mitologia pseudoconcettuale, delle cui affermazioni non si può dimostrare né che sono vere né che sono false. Per i metafisici la logica non è che formalismo puro e astratto, un rinchiudersi nei procedimenti mentali e verbali che si lascia sfuggire la realtà essenziale, il vero essere dell’uomo e del mondo.
La filosofia della storia, soprattutto con la crisi del marxismo e delle sue promesse utopicopolitiche, ha perso molto dell’enorme prestigio di cui ha goduto nei decenni centrali del Novecento. Ma a questo punto, la filosofia ha cominciato a sottovalutare o a ignorare la storia: per esempio vedendo l’intera storia dell’Occidente, dalla Grecia in poi, come un blocco unico, facile da ridurre a generali schemi di pensiero. All’idolatria di Marx, che si volle critico della filosofia e 'scienziato' del capitalismo e del suo crollo inevitabile, è subentrata l’idolatria di due filosofi, peraltro assai diversi, come Nietzsche e Heidegger, secondo i quali tutti i problemi si sarebbero risolti con un ritorno a Dioniso (il dio greco dell’irrazionale e dell’istinto vitale) o con una conoscenza dell’Essere (che mai cambia né diviene), ingiustamente dimenticati o repressi. Di fronte a queste nuove metafisiche postmoderne imperniate su due o tre 'principi primi', intorno a cui è cresciuta una vegetazione lussureggiante di ruminazioni esegetiche, un nuovo ritorno alla storia come maestra di vita potrebbe essere salutare. Gli storici sono costretti dai dati e dai documenti a essere più sobri e concreti dei filosofi. Lo storicismo totalizzante è tramontato, ma concezioni della storia come quella, per esempio, di Ferdinand Braudel e della scuola delle 'Annales', attente alla pluralità di tempi storici differenziati, hanno riportato il lavoro storiografico alla varietà dei fenomeni singoli e specifici. Ogni attività e realtà umana ha i suoi tempi, lunghi o brevi, veloci o lenti. Contro la crescente tendenza a ragionare sui 'tempi brevi'e su un’attualità assolutizzata, David Armitage e Jo Guldi hanno scritto un Manifesto per la storia. Il ruolo del passato nel mondo di oggi (Donzelli editore, pp. 262, euro 22).
Sotto accusa è una cultura nella quale «ogni aspetto della vita umana viene riportato su grafici e giudicato, confezionato e acquisito nell’arco temporale di pochi mesi o anni». L’elaborazione di prospettive politiche a lungo termine per il nostro futuro richiede la capacità di pensare a processi storici che hanno un lungo passato: «Nell’epoca delle campagne elettorali permanenti, i politici progettano solo il tempo utile alla loro prossima candidatura». Un presente velocizzato sta bruciando il senso del passato e del futuro, togliendo respiro culturale a decisioni politiche che riguardano la futura vita di tutti. Come diceva Baumann, le notizie d’attualità di oggi cancellano le notizie d’attualità di ieri, diffondendo l’impressione che l’urgenza di agire renda superfluo pensare agli effetti futuri di ciò che facciamo oggi. Funzione degli storici è mantenere viva la coscienza delle nostre responsabilità a lungo termine. La storia non è affatto finita, come diceva all’inizio degli anni novanta Francis Fukuyama: «L’istituzione universitaria, insieme a quelle religiose – scrivono Armitage e Guldi – tramandano la tradizione e custodiscono la conoscenza del passato». In questo, le discipline umanistiche sono chiamate a ritrovare il loro ruolo e a superare il loro presente stato di crisi. Gli studi storico-ermeneutici non sono scientifici come la fisica e la matematica. Il nostro rapporto col passato e il futuro non sarà mai scienza esatta: del resto abbiamo tutti imparato che non sono scienze esatte neppure l’economia e la medicina. Il Manifesto per la storia di Armitage e Guldi non riguarda soltanto la centralità della loro disciplina come veicolo di ogni visione umanistica: c’è in gioco anche la qualità culturale delle decisioni politiche e dei ceti dirigenti delegati a prenderle.