A Bolzano, la notizia ormai è da tempo ufficiale, alcuni monumenti avranno un look diverso dall’attuale. Non interveniamo nel merito dei retroscena politici della vicenda; meglio ricordare alcuni precedenti classici nella nostra storia dell’arte e trarne, magari azzardatamente, qualche appunto metodologico. Il
David di Michelangelo (1504) ha una simbologia politica notissima che si riassume nella vigilanza della libera repubblica fiorentina contro la tirannia medicea; non casuale il suo posizionamento rivolto a sud, verso Roma, da dove poteva venire il pericolo. Dopo alterne vicende, i Medici tornati definitivamente a Firenze nel 1530, vedevano in quel
David una vera provocazione. Piuttosto che abbatterlo, mutarne fattezze o confinarlo in uno scantinato, preferirono farlo fronteggiare da un altro marmo: l’
Ercole e Caco (1534) del Bandinelli, simboleggiante l’Ercole mediceo che pone fine alle insurrezioni repubblicane antimedicee. Vasari per parte sua, nella sala di Leone X in Palazzo Vecchio, raffigurò il David monco della testa e con un cagnolino che defeca sul basamento! Le motivazioni ideologiche e le passionalità di fazione anche allora non erano di poco conto. La censura non si è abbattuta solo sui libri; anche sulla pittura (Michelangelo ne fu la vittima più illustre, non certo unica) e, attività recente, sulle sculture. Soprattutto quelle destinate a trasmettere in pubblico una memoria storica. Facile abbattere busti (Mussolini, Stalin, Lenin, Saddam…), molto meno intervenire sul complesso materiale dell’opera per "variarla". Ma mai arrendersi per problemi tecnici (agevolmente superabili in campo letterario e pittorico). Il censore è sempre fertile: scalpellando o manomettendo dove possibile (bassorilievi e mosaici, anche di Sironi), o amputando e sostituendo (ad esempio, il braccio di statue nell’atto del saluto romano ridotte nel dopoguerra al
politically correct). Nel 1959-60, alla vigilia delle Olimpiadi di Roma, ci si chiese allora polemicamente se si dovessero lasciare in vista lapidi e mosaici celebrativi del ventennio e il monolite Dux del Foro Italico (già Mussolini) dove si sarebbero svolte le gare. Con insospettato buonsenso non si abbatté il Foro. Fu aggiunta la lapide celebrativa del 25 aprile ’45. Ora a Bolzano si vedrà cosa fare del piacentiniano monumento alla
Vittoria e dell’altorilievo di Hans Piffrader: 36x5.50 metri con al centro il Duce a cavallo (meglio visibile e noto da quando si è iniziato a discuterne) posto al di sopra dell’alto ingresso del Palazzo delle finanze. Un concorso bandito dall’amministrazione provinciale per nascondere, camuffare, sfumare l’altorilievo ha raccolto più di 400 proposte. Ipotesi censoria di robusta tradizione all’insegna oggi della trasparenza amministrativa? Un’opera d’arte esposta al pubblico va dunque politicamente adeguata ai tempi? Cioè destoricizzata? Pazienza se, subendo un intervento estraneo che vìola la libertà d’espressione dell’autore, perde la sua "originalità". Inseguendo la mutevole correttezza politica dei tempi si incontra un archetipo maestoso: la Grande enciclopedia sovietica, edita in epoca staliniana e costretta a continue correzioni politiche (e tipografiche!) dal fluire di "purghe" (prima) e destalinizzazioni (poi). Modello dunque utile ai nostrani politici centrali e locali che in alternativa, se però a conoscenza delle "antiche storie" (nella fattispecie medicee), potrebbero pensare analogamente ad aggiungere un monumento magari alla concordia. De Gasperi e Gruber sono ancora attuali?