ANTICIPAZIONE. Se la scienza si illude di poter clonare il mistero di Cristo
Anticipiamo un brano dal saggio del teologo domenicano Jacques Arnould Caino e l’uomo di Neanderthal. Dio e le scienze, rapporti senza complessi >(traduzione di Maria Luisa Buratti, Edizioni Studio Domenicano, pagine 238, euro 16,00), in uscita in questi giorni.La nostra epoca è ghiotta di apocalisse, senza peraltro conoscere bene il significato di questo termine. Essa gli attribuisce volentieri i tratti drammatici che rassicurano e insieme spaventano, perché alla nostra specie piace spaventarsi da sola per mettere meglio alla prova la propria esistenza e cercare di dominare le sue possibili disgrazie. Essa dimentica spesso che il termine “apocalisse” indica anche, come spiega l’opera dell’apostolo Giovanni, una rivelazione. Questa rivelazione non è solamente un discorso, un messaggio, addirittura un Codice Da Vinci ante litteram: essa è un uomo, Gesù, annunciato come Messia, confessato come Dio fatto uomo. Possiamo perciò capire la tentazione di clonare quest’uomo, di far rivivere colui che è allo stesso tempo il messaggio e il messaggero di Dio, la pietra angolare e la pietra d’inciampo del cammino cristiano. Questo però equivarrebbe a commettere un grave errore: quello di confondere riproduzione e rivelazione. Senza dubbio il segno della concezione verginale di Cristo si radica fermamente nella tradizione biblica e, più in generale, umana: Dio vi rivela la sua onnipotenza creatrice. Ma ancora più grande è il segno, ripetuto a più riprese nei testi evangelici, della voce che viene dal cielo per attestare che quest’uomo, Gesù, è il «Figlio prediletto» di Dio. Una parola di rivelazione in senso stretto. Potremmo immaginare di ottenere un clone di Gesù e anche di moltiplicarlo (la storia della Chiesa cattolica non ci offre forse l’episodio drammatico dello scisma e dei papi di Avignone?), ma come potremmo avere la pretesa di costringere Dio a intervenire, a rivelarsi di nuovo? Mai la tradizione biblica ha sostenuto una simile idea: l’umanità ha il dovere di prepararsi alla rivelazione del Messia, di affrettarla anche, ma non può avere la pretesa di provocarla. La tentazione di clonare Cristo, ancor prima di parlare del tentativo, offre senza dubbio un esempio contemporaneo di gnosi, in altre parole della ricerca di una salvezza nella conoscenza e nel disprezzo della contingenza materiale. Tentazione antica, come ci insegna la storia della filosofia, e talmente umana che non possiamo permetterci di ignorarla. Lo sviluppo contemporaneo delle scienze, le speranze che esso suscita, i timori che porta con sé, hanno dato a questa tentazione ancor più vigore. Pierre Teilhard de Chardin, al tempo dei primi successi della paleoantropologia e dei primi passi della genetica, aveva presagito questa minaccia di una rottura tra la fede e la concretezza della materia. Come pure, all’inverso, aveva sperimentato la minaccia di una eccessiva fiducia nella materia, spinta fino al panteismo. Affascinato dai fenomeni cosmici, biologici e umani, che costituiscono l’opera stessa della creazione divina, aveva capito che l’atteggiamento cristiano non è «l’assorbimento del monista avido di fondersi nell’unità delle cose, né l’emozione del pagano prostrato ai piedi di una divinità tangibile, neppure l’abbandono del quietista in balia alle energie mistiche», ma quello che consiste nel non temere il mondo, nel servirsi di esso, nell’immergersi in esso, senza paura né indifferenza, al fine di raggiungere il proprio Creatore. Così, clonare Cristo non impedirà mai alla fede, alla religione o a una qualsiasi Chiesa, di decomporsi. «Peccato!», sospirerà forse qualcuno. Ma, per quanto sacro possa essere il Dna estratto da una sindone, da un sudario o da una tunica, esso non avrà mai altra utilità che quella di indicare il cammino dei Magi, quei sapienti venuti dall’oriente a rendere omaggio a un neonato adagiato in una mangiatoia. Il mistero del Natale, proprio come quello pasquale, non potranno mai essere ridotti a una qualche manipolazione di provetta, a una qualche riproduzione in vitro.