Idee. Se la letteratura mette a tema scienza e coscienza
A chi fanno paura i segreti della coscienza? Non misfatti e rimorsi che teniamo nascosti e ci angustiano nel profondo del nostro animo, ma quelle sensazioni così apparentemente quotidiane e comuni che nascono quando annusiamo un fiore o picchiamo la testa contro uno spigolo, guardiamo un tramonto o non riusciamo a risolvere un problema. Ciò che è così umano da non attirare la nostra attenzione. Se non nel momento in cui quell’unicum della nostra condizione di esseri animati nel mondo viene messo sotto il microscopio e rischia di rivelarsi qualcosa di diverso da ciò che abbiamo sempre immaginato.
La ricerca contemporanea sulla coscienza affascina ma può anche spaventare. Perché scava dentro di noi e cerca di riportare a meccanismi identificabili dalla scienza quel sentire che colora ogni nostra esperienza. E alla fine si scontra con la domanda che stimola e insieme intimorisce: come fa l’attività elettrochimica delle cellule nervose a trasformarsi in pensiero e profumi e dolore e gioia? Rifletteva, tra Seicento e Settecento, il filosofo Leibniz obiettando ai materialisti: se ipotizziamo che il nostro cervello sia come un mulino e provassimo a ingrandirlo tanto da poterci entrare, per quanto si esamini il funzionamento di tutti gli ingranaggi, là in mezzo non potremo incontrare nemmeno l’ombra di un desiderio o di una sensazione. È una spiegazione che allontana quella sicurezza d’essere portatori di una singolarità immateriale, a favore di un più banale attivarsi di gruppi di neuroni, che ci mette a disagio?
Forse. Non dimentichiamo che, come diceva un altro filosofo, dalla coscienza viene tutto quello per cui vale la pena di vivere. E metterla in discussione può essere rischioso. In questo clima intellettuale non sorprende che ricerca scientifica e inquietudini associate entrino nella dimensione narrativa, la più adatta da sempre a trattare dell’essere umano e della sua interiorità.
Proprio a partire dalla metafora succitata muove Paolo Mazzarello, storico della medicina all’università di Pavia, nel suo giallo di idee intitolato Il mulino di Leibniz (Neri Pozza, pagine 320, euro 18). Neurologo e umanista, l’autore allestisce una storia serrata e avvincente che parte dall’omicidio negli Stati Uniti di Tomaso Cardani, brillante studioso forse sul punto di svelare qualche mistero della nostra mente, per poi dipanarsi nel Nord Italia in un susseguirsi di credibili colpi di scena, fino a un epilogo del tutto sorprendente. Docenti universitari, giovani e intuitivi studiosi, poliziotti e criminologi sono mobilitati nella caccia al misterioso Anima Mundi, sfuggente assassino dalle molte incarnazioni ma dall’evanescente presenza.
Nel serrato e ben costruito thriller c’è spazio per un contrappunto efficace sulle teorie più recenti della coscienza con uno snodo conclusivo che apre all’ipotesi panpsichistica, che cioè anche un singolo atomo possa avere un barlume di consapevolezza, crescente fino al culmine che si manifesta negli esseri umani.
Un ponte, quello della coscienza come elemento basico della realtà, che riporta alle ricerche di Giulio Tononi, eminente neuroscienziato italiano trapiantato a Madison, nel Wisconsin, e protagonista in absentia, sotto il nome di Antonio Moretti, di un romanzo che narra le cinque settimane a New York di un ricercatore reclutato con sette colleghi a inizio carriera per fare avanzare la comprensione dei meccanismi del cervello.
In Le rivelazioni di Erik Hoel (Carbonio, pagine 408, euro 19), Kierk Suren, allievo ribelle di Moretti, all’inizio di ogni capitolo-giornata si sveglia (la coscienza non a caso per William James è quella cosa che scompare nel sonno senza sogni per ricomparire al mattino) e ricomincia la sua tormentata investigazione, tra mini-encefali cresciuti a partire dalle sue cellule cutanee, attivisti decisi a liberare le scimmie usate per gli esperimenti, la misteriosa morte di un collega e l’amore per Carmen, scienziata-fotomodella. Hoel ha lavorato a sua volta con Tononi e oggi abbina il laboratorio alla scrittura creativa.
La sua opera si presenta come più ambiziosa di quella di Mazzarello (colpisce la proposta di mangiare solo creature che non hanno coscienza, coniando il termine inconsciotariano), ma non necessariamente più riuscita.
I tentativi di diluire un resoconto scientifico nella trama letteraria hanno precedenti recenti per la coscienza con David Lodge ( Pensieri, pensieri), autore anche di un saggio in tema ( La coscienza e il romanzo), e E. L. Doctorow ( La coscienza di Andrew). Per tutti verrebbe da dire che alla fine prevale la storia e più la narrazione si fa efficace più il lettore viene catturato. Sembra che ci siamo evoluti per ascoltare e raccontare storie. L’empatia che tutto ciò accompagna risulta alla fine decisiva per capire la coscienza. Più di qualsiasi teoria scientifica. E allora si impara dal Mulino di Leibniz come dalle Rivelazioni. E dai tanti classici della letteratura che scavano nei nostri intimi segreti. Poi ben vengano anche gli scienziati, a patto che abbiano fatto tesoro di quei capolavori.