Uno spicchio dello scudetto di Sassari è rimasto a Reggio Emilia. Perché a vincere il tricolore del basket è stata innanzitutto la provincia – quella sana – capace di vivere lo sport – quello sano, come la pallacanestro – per ciò che è davvero: puro spettacolo, senza l’esasperazione né la violenza che si aggira negli stadi. È il messaggio più immediato che passa dopo l’infinita serie di gare della finale. Dopo una vittoria conquistata all’ultimo secondo che lascia una squadra in lacrime mentre l’altra esulta. Entrambe incredule. Con gran parte del palasport ammutolito mentre un lembo di gradinata sfoga la gioia applaudendo. E nessuno che fischia o inveisce contro gli avversari. Perché il confronto finisce al suono della sirena. E un gigantesco spot per il basket diventano le immagini del dopopartita, con i giocatori sardi che vanno a consolare i ragazzi reggiani in lacrime. Un abbraccio sintetizza l’essenza dei veri principi dello sport che da queste parti restano saldi: agonismo in campo e cordialità fuori. Il messaggio passa e i telespettatori sono pronti a coglierlo, il secondo tempo ne totalizza un milione e mezzo, il 7,25% di share. Lo spettacolo, del resto, è di assoluto spessore, come preannunciato dalle precedenti sfide. Sul parquet si fronteggiano due squadre che non hanno mai vinto lo scudetto, due opposte filosofie ma entrambe con un preciso progetto alla base, partito da lontano e arrivato a giocarsi la finale. Niente di estemporaneo, perché in provincia non si è abituati a vivere alla giornata, bisogna sempre far tornare i conti pensando anche alla stagione successiva. Sassari si è affidata alla famiglia Sacchetti, Meo in panchina e il figlio Brian in campo, per costruire una squadra vincente inserendo ogni volta il tassello giusto per mantenere saldo l’equilibrio tecnico e umano. Una squadra ricca di stranieri che il tecnico ha saputo amalgamare in una solida base di italiani. Quasi l’opposto di Reggio Emilia, che ha invertito la rotta di un movimento esterofilo. La Grissin Bon ha deciso di puntare sui giovani assoldando alcuni dei migliori talenti italiani (Polonara e Della Valle), altri li aveva in casa, cresciuti nel vivaio (Mussini, Cervi, Pini). Il minutaggio degli italiani in campo nei playoff ha raggiunto il 60%, impensabile una cifra simile – per una squadra vincente – solo la stagione scorsa. Un bel messaggio per la Nazionale azzurra che cerca di ritrovare un posto nell’élite continentale già a partire da settembre, all’Europeo. E un chiaro messaggio a osare di più alle altre squadre. Perché non ci può essere futuro senza vivai. Perché in questi tempi di magra costruirsi un giocatore in casa costa decisamente meno. L’esempio di Milano è un monito per tutti: spendere tanto non basta se poi non si riesce a trasmettere un’anima alla squadra. Quell’anima che Sassari riesce sempre a mandare a canestro nei momenti più difficili, quando sembra ormai capitolata riesce a trovare grinta ed energie inimmaginabili che le consentono di ribaltare la situazione. È con questa qualità che è riuscita a centrare il suo primo scudetto e un “triplete” riuscito, finora, solo a Siena e a Treviso, due pezzi di storia del basket nostrano. In Supercoppa e Coppa Italia era stata proprio Milano ad arrendersi, nonostante la sua potenza di fuoco, e anche nei playoff l’Olimpia aveva ceduto il passo in gara-7 delle semifinali, realizzando un “triplete” della disfatta. L’interminabile finale scudetto ha confermato la capacità della Dinamo di affrontare e risolvere le situazioni sfavorevoli compiendo incredibili rimonte, come con Trento, nel primo turno dei playoff, quando si era ritrovata sul 2-0, lo stesso scomodo punto di partenza in cui si era ritrovato con Reggio Emilia. È il frutto dell’esperienza e della capacità di mantenere la lucidità al limite delle forze. Indispensabile con un ritmo di partite decisamente troppo alto: nei playoff si gioca a giorni alterni e si devono anche affrontare lunghe trasferte. E forse questo è un criterio che la Lega dovrebbe ripensare, magari aumentando di un giorno il riposo. Ne guadagnerebbe lo spettacolo. Anche se l’entusiasmante serie fra Sassari e Reggio potrebbe far pensare al contrario.