Intervista. Roger Scruton: «Solo l'arte e la religione danno senso al mondo»
Il filosofo Roger Scruton
«La crocifissione dà così tanto senso alla mia vita e mi mette in rapporto con gli altri. Mi ci è voluta una vita per capirlo». Roger Scruton, 70 anni, è tra i più brillanti filosofi inglesi; ha appena pubblicato con la Princeton University Press il suo testamento spirituale: 200 pagine intitolate The Soul of the World («L’anima del mondo») e dedicate al senso del sacro, ovvero al mistero che la scienza di oggi vuole negare. «Lo so bene io che sono un intellettuale e, come tale, sempre scettico, sempre ai margini della religione – continua Scruton nel suo studio a pochi passi da Piccadilly, nella palazzina più costosa di Londra, l’Albany dove hanno abitato Byron, Gladstone e Berlin –: la scienza ci ha consegnato una visione del mondo scoraggiante. Sappiamo che siamo su questo piccolo pianeta, in un angolo minuscolo di una galassia, ma perché esistiamo?»
Lei ammette di essere arrivato all’incontro con Dio ascoltando le Passioni di Bach, più che leggendo la Bibbia o frequentando la messa ogni domenica in una chiesetta anglicana...
«C’è davvero un Essere che si preoccupa di noi? È possibile rispondere solo attraverso una forma di sottomissione religiosa. Dobbiamo arrenderci a questo mistero e sentirci, finalmente, in pace col mondo. Questo è ciò che ci dà la religione e che, nel mondo di oggi, rischia di andare perduto. È uno dei problemi più grossi per i giovani, che nascono in un mondo dove tutto ha una spiegazione».
La conoscenza, la scienza allontanano da Dio...
«Prendiamo la sessualità. Per la mia generazione e quelle precedenti è stata qualcosa di misterioso, che richiedeva preparazione. Bisognava stare attenti, imparare come fare, e la castità faceva parte di tale preparazione. C’era questo mistero fondamentale al centro della vita, ma la scienza lo ha demistificato, riducendo la sessualità semplicemente a una dimensione biologica. Appena i giovani cominciano a sperimentarla, tuttavia, si rendono conto che non è vero che è tutto naturale e semplice e qui cominciano i problemi. Le religioni, a differenza della scienza di oggi, hanno sempre messo la sessualità al centro del loro insegnamento perché è uno dei posti dove si trova il mistero del nostro essere umani. Se maltratti questo mistero, maltratti te stesso e il tuo rapporto col mondo: un esito molto distruttivo del nostro essere».
Però il senso del sacro e i sentimenti religiosi sopravvivono, lei scrive, e non possiamo eliminarli; lo dimostrano proprio le nuove generazioni.
«Perché l’islam ha così successo oggi? Perché offre ai giovani una via di uscita dal caos. Ed è anche la ragione per cui molti ritornano alla religione: abbiamo bisogno di appartenere a una comunità».
Interessante anche ciò che lei dice a proposito del rapporto tra musica e sacro.
«Non c’è dubbio che la musica classica, oggi come sempre, rimane radicata nella contemplazione dell’eterno. La musica pop si è allontanata dalla religione per raggiungere una dimensione sensoriale, spesso violenta e anarchica, ma i giovani se ne stancano e cercano qualcos’altro, nella musica folk per esempio. Ci sono anche cantanti che si muovono in una direzione più mistica e attraggono molti fans; la band rock Radiohead per esempio e altri gruppi che producono canzoni in cui vibra questo senso di mistero del mondo. L’heavy metal stesso cerca di capire la condizione di alienazione di oggi e ai giovani piace perché sanno di essere alienati e vogliono saperne il motivo».
Vede religione pure nella letteratura e nel cinema?
«Sì, penso ai film tratti dai libri di C.S. Lewis e Tolkien e le storie tenebrose di Philip Pullman. I volumi di Harry Potter, anche se non parlano esplicitamente di Dio, sono ambientati in una scuola di magia dove la scienza non ha alcun ruolo. È un ritorno ai sentimenti animisti dei nostri antenati nella foresta, una religione molto primitiva dove la volontà forma il mondo che ci circonda. Ma persino i mondiali di calcio sono un evento religioso, perché la gente si riunisce in comunità e si concentra su qualcosa che la assorbe completamente in modo catartico. Certo, se si comincia ad adorare il pallone, arriviamo una forma di idolatria... Ma in tutte le attività umane esiste questo paradosso: più hanno significato per noi, più assomigliano alla religione. Ci portano fuori dal mondo verso il suo significato più trascendente».
In questo senso persino gli atei, dunque, possono vivere una vita «religiosa»...
«La maggior parte dei miei amici sono atei o agnostici perché sono intellettuali, ma pensano che ci sono cose che vanno rispettate anche se non si capiscono. Cose sacre come la musica, la letteratura e l’arte. Accettare la vita come un dono e darle senso, col sacrificio, usando queste cose, è qualcosa che anche atei e agnostici possono fare».