Intervista. Scotti: «Bachelet disse no alla scorta, "hai visto Moro"?»
L'ex ministro della Giustizia, Luigi Scotti
Bachelet «difensore dell’unità della magistratura», uomo del confronto, «capace di portare a sintesi» le diverse componenti del Csm, e profondamente convinto della «funzione giudiziaria come difesa della democrazia», soprattutto nei momenti tragici del terrorismo. È il ricordo di Luigi Scotti, allora componente del Consiglio superiore della magistratura, poi sottosegretario e ministro della Giustizia nel secondo governo Prodi e infine presidente del Tribunale di Roma. «Non lo avevo votato perché lo conoscevo poco, poi sono diventato suo amico e collaboratore». Ricordi e attualità: «Ci è mancato e ci manca ancora, soprattutto in questo momento difficile del Csm e della magistratura. Davvero una tragedia». Ricordi di collega e non solo: «Quel suo faccione bonario aveva una funzione fondamentale. Abbiamo avuto delle giornate al Csm veramente drammatiche. Ci invitava alla calma, 'troveremo una soluzione se ci confrontiamo'. Lui lì a dirigere il plenum per 12-15 ore di fila, instancabile, sempre sorridente, capace di sintetizzare problemi che all’inizio erano sembrati insolubili». Infine il ricordo di quando due giorni prima dell’omicidio tentò ancora una volta di convincerlo a chiedere la scorta: «Gli dissi: 'Vittorio è veramente un’imprudenza che tu commetti'. Lui mi rispose: 'Hai visto che fine ha fatto Moro? È perfettamente inutile avere la scorta se ti vogliono ammazzare. E ammazzano persone innocenti che non hanno niente a che fare con la tua posizione. Io questa responsabilità non la voglio portare'. Per come poi è stato ucciso all’università aveva ragione lui».
Presidente Scotti come eraVittorio Bachelet come vicepresidente del Csm?
Si sforzava di contribuire, di fare proposte e poi avvicinare le diverse opinioni. È riuscito a portare a unità un Csm che appariva abbastanza difficile. Vittorio, in un periodo drammatico come la stagione del terrorismo, è riuscito a dare una forza d’animo alla magistratura. Ricordo i viaggi insieme a Torino, Milano e in altre città per calmare le acque: i magistrati erano preoccupati. Per lui la prospettiva era: la democrazia deve vincere, lo Stato ha la sua prevalenza fondamentale nell’interesse della società. Questo era Vittorio.
Quale ruolo secondo lui doveva avere la magistratura in una fase così drammatica?
Bachelet che era un uomo delle istituzioni, convinto della centralità della magistratura e della giustizia in quanto tale, non l’apparato ma la funzione giudiziaria come difesa della democrazia. Vi vedeva un presidio di garanzia dei principi fondamentali dello Stato contro l’eversione. Non era favorevole a leggi di emergenza, perché credeva nella bontà dei principi fondamentali della Costituzione e dell’ordinamento. Però voleva che la magistratura avesse forza propositiva, come servizio di giustizia. E sotto questo aspetto fece moltissimo. Dopo la sua morte si è avuto un forte sbandamento all’interno del Csm. Eravamo smarriti. E questo conferma la funzione straordinaria che aveva avuto.
Perché le Br lo scelgono come bersaglio?
In quel periodo la magistratura era in prima fila, esposta, costretta ad affrontare una vera guerra che aveva come obiettivo la distruzione di quel tipo di Stato. Bachelet era una persona di unità e questo aveva rafforzato la funzione giudiziaria e il contrasto al terrorismo. Appariva come una figura simbolo di questo contrasto e per questo decisero di ucciderlo.
Dopo poco scoppia il caso P2 che coinvolge anche magistrati e lo stesso Csm. Cosa ha voluto dire in quel momento la mancanza di Bachelet?
Lui aveva retto il Csm con mano solida ma sempre pronto a dire «stiamo insieme». A tutti noi non appariva come il rappresentante di una forza politica e culturale che volesse dare un certo orientamento al Csm, ma agiva come uomo delle istituzioni, di una democrazia fatta da uomini che si incontrano, si confrontano e poi decidono in maniera unitaria.
Di fronte all’attuale momento di difficoltà della magistratura, e dello stesso Csm, cosa vi dice ancora?
Persone come Vittorio hanno dato tanto alla forza della magistratura e l’hanno posta al centro di una difesa della democrazia, in un periodo tragico per la vita della Nazione. La magistratura si trovava esposta contro la criminalità organizzata, l’eversione terroristica e poi la P2 e altri casi di patologia sociale. Diceva: «voi state svolgendo un compito fondamentale per lo Stato». Ci incitava: «stiamo uniti, continuiamo a svolgere il nostro lavoro, niente paure, niente esitazioni». Parole attualissime.