Il rapporto degli uomini con gli animali è intimo e tragico. Il divieto di cibarsene è il tabù più radicale. Nel mondo antico lo motivava la credenza nelle reincarnazioni, condivisa dagli indiani vedici e dai celti; e tra i greci, da Pitagora, gli Orfici, Empedocle, Platone. Ovidio concludeva le
Metamorfosi tra gli stati divini e naturali con Pitagora, cui si era ispirato Empedocle, quando ricordava che «ci fu anche un tempo che sono stato un giovane e una ragazza, / e un virgulto e un uccello e uno squamoso pesce del mare» (
Poema lustrale, fr. 104, trad. Carlo Gallavotti). Quanto al mondo semitico, della sofferenza degli animali, fu accusato Adamo. Essa faceva parte dello stesso peccato originale. Enoch, settimo dei patriarchi, ne era l’accusatore principale nel suo libro apocrifo. La memoria di Enoch era stata mantenuta solo nel giudaismo rabbinico, nell’islam, nell’ermetismo, tra gli alchimisti. La raccolse Pico con il suo uomo camaleonte: «L’uomo è un animale di natura varia, multiforme, e desultoria »: “cangiante”, traduceva Garin. Per i cristiani bisogna cominciare da san Paolo, dove parla del gemere della natura, come nelle doglie del parto, fino alla rinascita nella salvezza che Cristo, nuovo Adamo, ottiene espiando per tutti il peccato originale del progenitore, il quale l’ha precipitata nel dolore (
Rom. 8 19 22). Tutti gli esseri che soffrono devono collaborare a questa rinascita, partorendo insieme la nuova vita. Filone di Alessandria imputa ad Adamo la ferocia delle belve, che in origine convivevano pacificamente. Lo segue Giovanni Crisostomo, aggiungendo che alla fine dei tempi, secondo il profeta Isaia (65, 25), si ristabilirà lo stato dell’Eden dove il lupo pascolerà con l’agnello. La colpa di Adamo aveva fatto perdere agli animali anche la parola, che possedevano. Gesù gliela restituisce, dicono gli
Atti di Filippo apocrifi. Pronunciando il nome di Gesù per ogni elemento della natura, che ora è muta, gli esicasti invocano la trasfigurazione che egli ha portato, e deve concludere alla fine («anche le pietre grideranno»,
Lc 19,40). Cristo non ha escluso gli animali, che gli erano compagni nel deserto (
Mc 1,13): nemmeno un passero è dimenticato dal Padre (
Lc 12,6). Cristo divenne il vero Orfeo, che umanizza la natura, gli animali, gli alberi, le pietre, perché lui solo ha domato gli animali più nocivi, gli umani, spiega Clemente Alessandrino nel
Protrepticus. Quanto all’imposizione dei nomi agli animali da parte di Adamo, Filone ritiene giusta la sua scelta perché egli, ispirato dallo Spirito di Dio, coglie l’essenza di ciascun animale, corrispondente all’idea che Dio ne ha formato. L’atto del nominare è una collaborazione alla creazione di Dio. Filone, con tutti gli altri padri, interpreta simbolicamente anche gli animali, in senso ambivalente. Ma la preminenza di Adamo su di essi è indiscussa. Primo e unico tra tutti, Giovanni Scoto Eriugena rivoluziona l’idea di comu- nanza tra l’uomo e gli animali, non più sulle somiglianze di lingua o di pensiero, o per le passioni, ma per come sono conosciuti nella coscienza umana. Lo fa nel quarto libro del
Periphyseon (
Sulle nature dell’universo IV, che Peter Dronke cura mirabilmente sull’edizione di Édouard Jeauneau, sostenuto dalla splendida traduzione di Michela Pereira, Mondadori-Valla, pagine LXVI-488, euro 30). L’opera, scritta alla corte di Carlo il Calvo dall’862 all’864, è la speculazione più straordinaria prima della
Summa teologica di san Tommaso d’Aquino, ispiratrice principale di Ildegarda di Bingen, che nel
Libro delle opere divine (curato, fra l’altro, da Pereira), riprende il microcosmo dell’homo-
omnis, unità ontologica tra uomo e universo. Il maestro,
Nutritor, presenta al discepolo il quarto libro come la navigazione più rischiosa verso il porto della Sapienza: Odissea spirituale tra le Scritture, con qualcosa dell’ardimento celtico che san Brendano e Colombano innestavano sull’Ulisse di Omero. Per Scoto la teologia ha le qualità della poesia, e anche l’eccellenza della logica, è una qualità alata dell’immaginazione. Esse formano la slanciata struttura della nave (la «navicella del mio ingegno», scriverà Dante) che trasporta mente cuore nel ritorno di tutte le cose alla terra del paradiso: al loro principio divino «in quella natura che non crea e non è creata»: Dio. Come aveva scritto nel primo libro, la Natura è la realtà più assoluta e totale: «Natura è dunque il nome di tutte le cose che sono e di tutte quelle che non sono». Comprende sia Dio sia il creato, ed è di quattro specie. Ciò che crea senza essere creato, cioè Dio; ciò che crea ed è creato, le Cause Prime o Idee; ciò che è creato e che non crea; ciò che non è creato e non crea, il non essere, il nulla, Dio. Nella sua arca filosofica Scoto non imbarca solo gli uomini, dunque, ma anche gli animali, unico a considerarli connaturati in noi, come i Padri della Chiesa mai si erano sognati. Dronke ne aveva già descritto la complessa fondazione metafisica più di trent’anni fa (
La creazione degli animali, in
L’uomo di fronte al mondo animale nell’Alto Medioevo, 7-13 aprile 1983, t. II, Spoleto, Cisam, 1985). Scoto sostiene la natura comune di uomini e animali attraverso l’immortalità dell’anima. Se l’uomo appartiene al genere animale, come possono morirne le stirpi, e sopravvivere solo quella umana? Ogni anima partecipa dell’anima del mondo, vita o anima primordiale attraverso cui ha vita ed esistenza. Sorgendo dalla vita divina, essa fa partecipare tutte le anime degli esseri al proprio fine. Influisce su tutti. «Non vedi», commenta Scoto, «l’uomo in tutti gli animali ed essi tutti nell’uomo, e l’uomo al di sopra di tutti»? L’uomo è animale e non animale. È stato creato animale insieme con gli altri, e spirituale insieme con gli esseri spirituali. Questo non significa che abbia due anime, ma che ogni creatura – corporea, vitale, sensibile, razionale, e intellettuale – è compresa nell’uomo. Riprendendo l’idea dello pseudo-Dionigi che in Dio le affermazioni contrarie possono coincidere, Giovanni Scoto ne estende il concetto all’uomo, dove, spiega Dronke, «gli aspetti animaleschi e quelli trascendentali sono veri contemporaneamente». L’umanità ha un ruolo di mediazione e salvifico, ossia attraverso di essa ogni creatura parteciperà al ritorno di tutta la natura alla divina causa finale. Ma all’umanità viene affidato il ruolo centrale nel
reditus, perché ogni creatura è contenuta nella natura umana. Ecco il vero significato delle parole di Cristo: «Predicate il Vangelo ad ogni creatura». Dio ha creato l’uomo nel genere animale anche a questo scopo, mentre creava in lui ogni creatura visibile e invisibile: «affinché potesse esserci un animale in cui l’immagine divina potesse manifestarsi». Il paradosso che le qualità specifiche degli animali, come l’irrazionalità o la capacità di volare, siano realmente presenti nell’uomo, viene risolto dal fatto che esse lo sono come realtà intelligibili nell’intelletto umano, realtà che di fatto supera quella delle loro manifestazioni fisiche. Anzi, è «per mezzo dell’uomo che le qualità irrazionali degli animali appartengono alla sfera più alta delle
notiones, dove sono conservate incorporee, al di là dei limiti fugaci dell’incorporeo ». Se la vera sostanza di ogni uomo è la nozione di umanità che sussiste da sempre immutabile nell’intelletto divino, questa nozione è l’essenza di ogni vita umana individuale, non è una mera definizione di stretto ambito logico. «Come l’uomo è una nozione nell’intelletto divino, così gli animali sono una nozione nella mente umana». Soprattutto il fatto che all’uomo sia stata concessa una
notiodi tutti gli esseri creati come suoi pari, oppure come suoi soggetti, fa comprendere l’esistenza umana. «È questa
notio che Adamo nominò al momento di nominare gli animali. La nozione degli animali nella mente umana è la loro sostanza; le nozioni umane delle proprietà degli animali e delle loro differenze sono in verità le loro proprietà e differenze. È in questo senso che l’irrazionalità e tutti i tratti specifici degli animali furono creati nell’uomo». Nell’apocatastasis, l’intera natura risalirà alla sua origine. La fiamma di Dio riempirà il mondo di luce nella gloria della deificazione. Elevati oltre lo spazio e tempo, anche gli animali aderiranno alla causa di tutte le cose, intorno all’albero della vita, l’albero-tutto che è Cristo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Filosofia Giovanni Eriugena, grande pensatore medievale, nel IV libro di “Sulle nature dell’universo” a partire dalla lettura commentata della Genesi affronta il tema della creazione e del rapporto con il divino e con gli animali MONACO Giovanni Scoto Eriugena nato in Irlanda nell’810 circa e morto forse in Inghilterra dopo l’877
IL GIARDINO DELL’EDEN. Opera del pittore fiammingo Savery Roelandt (Kortrijk, 1576-1639)