Festa di Roma. Scorsese, la malinconia del tempo che passa
Una foto della pellicola “The Irishman”, di Martin Scorsese, ieri alla Festa del cinema di Roma / Ansa - Ufficio stampa
Non è più tempo di criminali eroi, di “bravi ragazzi” da ammirare, mafiosi da emulare e gang newyorkesi da celebrare. È tempo invece di guardare al passato e fare i conti con i propri errori, ripensare alle scelte fatte e prendere finalmente coscienza della propria mortalità. Perché tutto passa e nessuno ricorderà più le cose per cui tanti hanno vissuto. Denso di malinconia e profonda umanità è arrivato alla Festa di Roma The Irishman di Martin Scorsese, che ha riunito sul set Robert De Niro e Joe Pesci a 24 anni da Casino e ha diretto per la prima volta un’altra icona del cinema mondiale, Al Pacino. Sceneggiato da Steven Zaillian a partire dal romanzo L’irlandese - Ho ucciso Jimmy Hoffa di Charles Brandt, questo film epico e monumentale da 160 milioni di dollari (e della durata di quasi tre ore e mezza) prodotto da Netflix, disponibile sulla piattaforma dal 27 novembre, ma dal 4 al 6 anche sul grande schermo, segna il punto di arrivo di uno straordinario percorso umano e artistico cominciato da Scorsese alla metà degli anni Sessanta, quando si cominciava a parlare di rinnovamento del cinema americano. The Irishman è dunque la summa del cinema del regista, ma il punto di vista con il quale racconta una storia che comincia nel 1949 e finisce nel 2000 è radicalmente diverso da quello al quale ci ha abituato. L’irlandese del titolo è infatti Frank Sheeran, veterano della Seconda Guerra Mondiale, imbroglione e sicario che ha lavorato al fianco di alcune delle figure più importanti del Ventesimo secolo. Attraversando diversi decenni, il film racconta uno dei più grandi misteri della storia statunitense, l’omicidio del leggendario e controverso sindacalista Jimmy Hoffa, e ci accompagna in un’affascinate viaggio attraverso la criminalità organizzata, i suoi spietati meccanismi interni, le rivalità, le sanguinarie lotte intestine, le infiltrazioni della malavita nei sindacati, ne governo e le grandi aziende, le connessioni con la politica internazionale, tra Kennedy, Castro e Nixon. A raccontare tutto questo però è un uomo di oltre ottant’anni che, ormai solo e paralizzato, apre continue finestre sul passato, in una complessa struttura di mise en abyme che rappresenta uno degli elementi più interessanti e affascinanti del film.
«Non ho mai pensato di spettacolarizzare le azioni dei protagonisti, come si faceva un tempo con i gangster movies – commenta Scorsese, ieri a Roma per presentare il film – perché ritengo che la forza dei sentimenti sia il vero spettacolo. Di certo nel film c’è anche un forte sentimento religioso ». Non solo perché Frank, arrivato alla fine della sua vita, abbandonato dai figli che condannano le sue azioni, trova conforto nella preghiera e nel dialogo con un prete. «Ogni volta che parliamo di esseri umani – dice il regista – parliamo di tensione alla spiritualità. The Irishman è un film sul tempo che passa, sulla mortalità, sulla nostalgia, sull’amicizia e il tradimento, ma soprattutto sul rimorso». Niente di più attuale, dunque: «I temi affrontati hanno una forte rilevanza anche oggi, attraversano i confini del tempo e dello spazio e parlano a tutti perché a essere contemporanei sono la condizione umana, i sentimenti, i conflitti morali, il costo emotivo e psicologico di certe scelte».
Tutto è cominciato quando De Niro nel 2007 leggendo il romanzo, si è convinto che quella fosse la storia giusta per tornare a lavorare insieme al suo amico Marty. È stata sua anche l’idea di affidare il ruolo di Hoffa a un altro dei suoi grandi amici, con il quale in passato ha lavorato pochissimo. A stupire il pubblico sarà anche il ringiovanimento digitale di De Niro, Pacino e Pesci ottenuto attraverso una tecnologia sperimentale della Industrial Light and Magic che cattura le espressioni facciali degli attori sul set. «Non avevo alcuna intenzione di affidare i ruoli giovanili ad attori diversi da Joe, Bob ed Al perché questo film lo abbiamo fatto per noi, per tornare a lavorare insieme, e loro non avrebbero mai accettato di recitare con caschi e sensori sul viso, sarebbero state solo risate e lamentele». E a proposito della grande opportunità offertagli da Netflix dichiara: «Sono sempre convinto che i film vadano visti sul grande schermo, ma prima di vederli bisogna farli e a Hollywood, che sta abituando i più giovani a considerare cinema solo quello popolato da supereroi, non abbiamo raccolto denaro sufficiente per fare un lavoro del genere. Netflix ci ha assicurato invece un finanziamento completo, tutto il tempo necessario, la completa libertà artistica e sei mesi di postproduzione. In cambio The Irishman andrà in streaming mentre è ancora nelle sale. Un compromesso accettabile direi, soprattutto se penso che certi miei film in passato hanno resistito sugli schermi due settimane appena».