Milano ce l’ho nel cuore da sempre. Non solo perché sono nato ambrosiano, ma perché Milano ha sempre eccitato la mia fantasia, fin da bambino. Un ricordo: subito dopo la guerra, si cominciava a conoscere il
chewing gum, grazie alla presenza dei soldati americani; gli stessi che, sotto casa mia, giocavano con noi bambini, un po’ come fossimo palle da scagliare l’uno verso l’altro. In quel periodo si avvertiva che stavamo per uscire da un clima plumbeo. Abitavo con i miei nella corte di una villa settecentesca: di lì erano passati prima i tedeschi, poi i repubblichini. Percepimmo la gioia del cambiamento, della fine della guerra, proprio grazie alla presenza vivace dei soldati americani che parlavano dei loro incontri e dei loro viaggi. La prima volta che ho sentito la parola "Milano", avrò avuto 7 anni, fu proprio da parte di due soldati americani, uno di colore e l’altro bianco, che tornavano brilli da una visita alla città. Da allora Milano cominciò gradualmente a solleticare la mia fantasia. Poi la curiosità crebbe quando ero al liceo: venivamo nella città della Madonnina per vedere le prime mostre. Ricordo la grandissima discussione tra noi, con i docenti e con i professori di religione quando si tenne la famosa mostra di Modigliani e vedemmo per la prima volta i celeberrimi nudi dell’artista; ricordo lo "scandalo" che questo provocò, il dibattito che ne nacque. Ma fu, infine, ai tempi dell’Università che Milano cominciò a diventare la mia città. Tutto questo per dire che per me essere oggi a Milano equivale a un "ritorno", dopo tanto pellegrinare, tanti compiti tra loro diversi, tutti certamente belli e arricchenti. Man mano che in questi mesi mi sono avvicinato a Milano, questo senso del "ritorno" mi è entrato nelle vene dei polsi e nel cuore al punto che posso dire di trovarmi veramente a casa mia. Mi è venuto spontaneo, nell’omelia dell’ingresso in Diocesi il 25 settembre scorso, definire Milano "illuminata, operosa e ospitale". Ospitale perché Milano sa mettere insieme i diversi: processo che comporta il reciproco appassionato raccontarsi e lasciarsi raccontare, al di là di tutte le dialettiche, i conflitti, le incomprensioni, e chiede la pazienza, il tempo necessario per capirsi, così come la capacità di accettare l’umiliazione di essere fraintesi. È quest’opera comune che può rendere ancora oggi Milano una fucina di civiltà. Vale per ogni città, ma secondo me per Milano in un modo del tutto particolare per la multiforme ricchezza delle sue variegate espressioni e per le sue caratteristiche. Essere ospitale e accogliente è un compito per la nostra Chiesa: lo si vede in quell’espressione della passione educativa così tipicamente ambrosiana e importante qual è l’oratorio. L’oratorio dice l’attitudine della Chiesa di "abbattere i bastioni" per accogliere i bambini i ragazzi e i giovani di oggi, cittadini di domani, e per proporre un orizzonte di senso per la città. La domanda di senso, espressa o inespressa, è oggi così forte che questo compito di accoglienza e questa sfida educativa non possono essere trascurate. Secondo la sua grande tradizione, da sant’Ambrogio ai nostri giorni, la Chiesa di Milano (con tutti i difetti degli uomini di Chiesa, a cominciare dai miei) si offre realmente come luogo di accoglienza. Ma ciò esige l’
andare con, il gusto del confronto, la cur-iositas, implica il domandarsi sempre il perché di fronte a tutte le cose. Quanto alla Milano "illuminata", è chiaro che, in tale aggettivo, si esprime tutta la sua storia: storia di fede, ma anche storia civile. Penso al famoso Illuminismo lombardo, ma anche al movimento operaio e al movimento cattolico con il loro passo e il loro reciproco confronto. Questa multiforme Milano (la città, la gente, la Chiesa) si appresta a celebrare il VII Incontro Mondiale delle Famiglie, che si terrà dal 30 maggio al 3 giugno 2012, sul tema "La Famiglia: il lavoro e la festa" e culminerà con la visita del Santo Padre. È la prima volta che un incontro di tale rilevanza si svolge in una città italiana che non sia Roma e siamo felici di godere di questo privilegio, così come consideriamo un privilegio e un immenso segno di predilezione la permanenza tra noi per tre giorni di Papa Benedetto XVI, che torna a Milano 28 anni dopo il suo predecessore. A Milano donne e uomini, giovani e bambini di tutto il mondo si confronteranno, dialogheranno, rifletteranno e pregheranno insieme sul tema della famiglia, un aspetto decisivo della comune esperienza umana, che si intreccia ad altri due fattori parimenti decisivi, quello del lavoro e quello del riposo (festa). L’aver posto a tema questi tre fattori costitutivi, esprime bene il nesso tra la fede e la vita e mostra efficacemente il grande realismo dell’esperienza cristiana. Forse non è un caso che tutto questo avvenga proprio a Milano, in una terra dove il cristianesimo, lungo i secoli, ha lasciato tracce di santità molto concreta e, ancor oggi, vitale.