Storia. Quando il cardinale Schuster definì le leggi razziali «un'eresia»
Il cardinale Ildelfonso Schuster al congresso delle Acli nel novembre 1952) (Publifoto)
Il contromanifesto della razza. Un programma di resistenza contro la deriva razzista che stava dilagando in Italia. Fatto non solo in nome della diocesi ambrosiana ma anche dell’intera Chiesa italiana. Il discorso di ottanta anni fa del cardinale Alfredo Ildefonso Schuster è l’attacco a un regime che dietro l’apparenza del rispetto della religione stava in realtà ponendo le basi per un attacco alle fondamenta della stessa Dottrina cattolica. Ma andiamo per ordine. Il 13 novembre 1938 era una domenica e nella diocesi ambrosiana segnava l’inizio dell’Avvento, come sempre due settimane in anticipo rispetto al resto della Chiesa. Un momento solenne reso ancora più importante dall’omelia del cardinale. E Schuster scelse proprio quel giorno per lanciare un ultimo appello perché venisse evitata l’infamia delle leggi anti ebraiche firmate da Vittorio Emanuele III, il 17. Lo fece da par suo: voce sommessa ma concetti chiari, inequivocabili fin dal titolo stesso: “Un’eresia antiromana e anticristiana”.
Un attacco frontale al regime e allo stesso Mussolini che si vedeva novello Augusto e benefattore della Chiesa con i Patti del 1929. Schuster distrugge questa immagine. Ma è la prima parola, eresia, quella che di più infastidiva e fors’anche intimidiva il regime. «E lui la ripete ben tre volte nel discorso», spiega monsignor Ennio Apeciti, rettore del seminario lombardo e promotore della causa di beatificazione del monaco che resse la diocesi ambrosiana dal 1929 al 1954 e fu beatificato nel 1996. «Schuster denuncia l’eresia nell’attacco del discorso laddove dice che questa “non solo attenta alle fondamenta naturali della Cattolica Chiesa, ma materializzando nel sangue umano i concetti spirituali di individuo, di Nazione e di Patria, rinnega all’umanità ogni altro valore spirituale e costituisce un pericolo internazionale non minore di quello dello stesso bolscevismo”. Parla poi di “insorgente eresia (…) del mito nordico razziale” e di “novella nordica eresia che ci deprime”. Il concetto di eresia porta in sé anche quello della scomunica e, di conseguenza, dello scioglimento di ogni obbligo di fedeltà da parte dei sottoposti. Come Enrico IV davanti a Canossa».
Parole inequivocabili, quelle di Schuster e chiaramente riferite: l’arcivescovo parla di «mito del XX secolo» titolo dell’opera più famosa, meglio, famigerata di Alfred Rosenberg, ideologo nazista impiccato a Norimberga. Non solo. Il cardinale paventa un rischio ulteriore. Ovvero che dopo gli ebrei tocchi ai cristiani essere discriminati in nome della purezza razziale. E prega per le «nobilissime Chiese Germane che soffrono per la fedeltà a quella Fede Cattolica» a causa della persecuzione dei nazisti. «E non è un caso – dice ancora don Apeciti –. Schuster parlava in no- me e per conto di Pio XI che era stato cardinale di Milano prima di essere eletto e che continuava a guardare a questa diocesi con un occhio particolare. Achille Ratti, che sperava ancora in un moto di resipiscenza del re, aveva fatto di tutto per bloccare le leggi». Dal 1937 a ogni passo verso le norme razziali corrisponde un intervento di Pio XI per ribadire il proprio disgusto verso la scelta. Il 28 luglio del ’38, dieci giorni prima dell’introduzione delle leggi, Pio XI parlando agli alunni di Propaganda Fide dice espressamente che «non c’è posto per razze speciali. (....) Il nazionalismo e il razzismo sono una vera Apostasia». Mussolini suona le sue (nere) trombe, Ratti risponde con le sue campane. Il 5 settembre viene decisa la discriminazione – la cacciata – di tutti gli alunni, studenti e professori ebrei dalle scuole. Il giorno dopo, ricevendo i pellegrini belgi, il Papa replica da par suo: «L’antisemitismo è un movimento odioso, con cui noi cristiani non dobbiamo avere nulla a che fare. (...) L’antisemitismo è inammissibile. Spiritualmente siamo tutti semiti». E via in un crescendo con il duce che arriva a minacciare il papa. Che replica sdegnato: «Mi vergogno di essere italiano. (...) Il popolo italiano è diventato un branster co di pecore stupide. Ma io parlerò, non avrò paura. (...) Preferisco andare a chiedere l’elemosina». È all’interno di questo clima che si inserisce il discorso del cardinale Schuster. Se non sul regime, le parole dell’arcivescovo hanno seguito tra i fedeli. Lo rileva un rapporto della polizia fascista spedito a Roma che parla di «enorme impressione».
Riportando qualche commento rileva che «nonostante Egli mostri di vedere di buon occhio il fascismo e taluni arrivino a credere a queste false apparenze, il cardinale Schu- è stato ed è nell’animo un vero antifascista ». E ancora «molto generale è il convincimento che Egli intimamente sia nemico del regime». Fino alla nota più allarmata. «La grave scissione spirituale tra Chiesa e partito aumenta ogni giorno. I cattolici osservanti sono apertamente per la Chiesa e condannano senza reticenze i metodi del partito Fascista. La massa dei cattolici condanna le misure contro gli ebrei per ragioni di cosiddetta umanità. (...) L’omelia del cardinale è arrivata come una doccia gelata anche per i fascisti osservanti ». Insomma una vera debacle che iscrive l’arcivescovo nel novero degli antifascisti. Un errore ulteriore, rimarca don Apeciti: «Per Schuster vale la definizione del professor Giorgio Rumi: non era nè fascista nè antifascista era “afascista”». La reazione non si fa attendere: “L’Italia” giornale della diocesi ambrosiana viene chiuso per qualche tempo. E anche qui – è ancora don Apeciti – si vede lo stretto raccordo tra Schuster e la Santa Sede. «Il Papa dispone di acquisire le liste degli abbonati al giornale milanese e di spedire loro l’Osservatore Romano per tutto il tempo che il loro quotidiano resterà chiuso». Infine, quando tutto è stato deciso, il 17 gennaio del 1939, Schuster pronuncia davanti ai parroci un’allocuzione nell’ambito del Sinodo Minore diocesano. “I pericoli dell’ora presente” – questo il titolo – conteneva tali e tante affermazioni che i parroci chiesero che restasse segreto. Il testo venne reso noto solo nel 1951. «La Chiesa – diceva l’arcivescovo – oggi si trova di fronte non tanto a un nuovo stato fascista ma di fronte a un imperante sistema filosofico e religioso nel quale (...) è implicita la negazione del Credo apostolico, della trascendenza spirituale della Religione, di diritti della famiglia cristiana e dell’individuo ».
E risponde alle critiche di chi lo accusava di travalicare il suo compito entrando in argomentazioni politiche. «Non riflettono – rispose Schuster – che, come l’anima umana, pur essendo spirituale, è la forma sostanziale del corpo e può operare solo con il corpo, così anche la Fede Cattolica non può esplicarsi che nel cittadino e dentro la polis ». Per chiudere poi a ogni possibile riconciliazione con il fascismo. «Ora – concluse – se in filosofia vale ancora il principio di contraddizione, ognun vede che tra il Cristianesimo imperniato sul decalogo e sul Credo di origine divina e codesto nuovo Stato Hegeliano, totalitario, autoritario, sovrano, fonte di eticità e di spiritualità Cattolica (sic!) (...) c’è una irriducibile antinomia».