Il personaggio. Schoenhuber, a lezione dal "Dottore" delle nevi
ofia Goggia (foto grande) vincitrice della Coppa del Mondo di discesa libera nel 2018, argento mondiale nel superG di Åre
Se c’è un ambito in cui l’Italia è da sempre campione del mondo, è quello della medicina sportiva. La conferma si ha entrando alla Physioclinic di Milano. Un piccolo tempio dello sport applicato alle scienze mediche. Qui, ogni giorno scende in campo un “tridente” illuminato, composto dal meglio della medicina ortopedica internazionale: Piero Volpi, ex difensore di calcio professionista (Como e Ternana), l’uomo che rimetteva in piedi Ronaldo il “Fenomeno” brasiliano, e che è tornato al comando dello staff medico del-l’Inter; Gianluca Melegatti che ha risanato muscoli e ossa di tutta la sponda milanista e non solo, e, dulcis in fundo, Herbert Schoenhuber, che per brevità potremmo chiamare il “Dottor Sci”.
Sì perché nel suo sterminato curriculum (come del resto quello dell’intero “tridente” della Phisioclinic) spicca il suo passato e presente di uomo delle nevi. «Sono presidente onorario della Commissione medica della Fisi, Federazione italiana sport invernali», dice con orgoglio Schoenhuber, accogliendoci nello studio dove settimanalmente visita i campioni - di ieri, di oggi e soprattutto di domani - del “Circo bianco”. Talenti, che riceve con spirito paterno, anche se il suo occhio clinico-sportivo nel tempo li ha catalogati alla triplice “voce” di «grandi atleti, atleti veri e piedi piatti. E questi ultimi – dice sorridendo – non sono carabinieri, anche se magari gareggiano per l’Arma, ma quelli fisicamente meno dotati, e tuttavia non meno competitivi. Vedi le sorelle Fanchini».
In questo maggio nevoso festeggia 40 anni dal suo ingresso in Fisi: «Debuttai a Lake Placid 1979». Quell’anno il ragazzo di Brunico, fresco di laurea in Medicina all’Università degli Studi di Milano (specializzato in ortopedia e traumatologia) era stato spedito dal-l’Istituto Gaetano Pini sul fronte (a Courmayeur), come medico militare al servizio della Nazionale di sci. «Un ingresso trionfale, era il tempo della piena maturità della “Valanga Azzurra” ». Il dream team italiano, ribattezzato così da Massimo di Marco (della Gazzetta dello Sport) quando, il 7 gennaio 1974, nello slalom gigante di Berchtesgaden, vide il podio ammantato di tricolore: 1° Piero Gros, 2° Gustav Thoeni, 3° Erwin Stricker. «E al 4° e 5° si piazzarono altri due italiani, Helmuth Schmalzl e Tino Pietrogiovanna», ricorda dottor Sci. Formidabili quegli anni, ma l’incanto venne spezzato dalla morte precoce dello slalomista Leonardo David. «Era il marzo del ’79 e David, a soli 19 anni, stava diventando il numero 1 del mondo quando ebbe quell’incidente fatale, proprio a Lake Placid. La Fisi mi inviò all’ospedale di Innsbruck a verificare le sue condizioni. Ricordo la rabbia dei genitori che l’hanno assistito per cinque anni, prima che si spegnesse.
Era una morte che si poteva evitare? Chissà... Leonardo era caduto precedentemente sulla pista di Courmayeur e Pierino Gros, che con lui condivideva la camera nei ritiri della Nazionale, mi raccontò che David da quel momento diceva di avere dei forti mal di testa». Una storia drammatica che pare aver congelato il tempo. «Da quarant’anni il movimento è sempre in mano alle stesse persone. Rivedere quelle facce nel 2017, a Kitzbühel, dove non andavo da un po’ di anni, mi ha spaventato al punto da dare le dimissioni dalla commissione medica». Ma il suo amore per lo sci resta immutato.
«Adoro questo sport in cui le uniche cose cambiate sono i materiali degli sci. Mi dispiace che sia molto penalizzato a livello televisivo; del resto finché continueranno a mettere le gare alle 11 di mattina... Non hanno ca- pito che ormai con le piste illuminate a giorno si può gareggiare anche alle 23 e che senza il supporto televisivo ogni sport è destinato a sparire». Eppure c’è stato un tempo in cui lo sci era mediaticamente forte quanto il calcio, e questo grazie al suo pupillo “Tomba la bomba”. «Beh, Alberto rappresenta l’atleta perfetto e con lui ho vissuto stagioni memorabili, forse irripetibili. Se si allenava? Il giusto, ma appena si sentiva stanco mollava e andava a riposarsi, mentre gli altri compagni di squadra insistevano su e giù per ore. Bicicletta e atletica non erano di suo gradimento ma in gara Tomba era capace di “salti mortali”. Gli bastava un giro di ricognizione: sceglieva quelle quattro porte da passare alla sua maniera per dare un secondo secco agli avversari».
Come Tomba nessuno mai, e ancora oggi attendiamo un’altra “Bomba” azzurra. «Dominik Paris è un grande atleta, ma non ha il talento innato di Tomba, per sua stessa ammissione. Ha dedicato l’oro nel Supergigante ad Åre 2019 e la conquista della Coppa del Mondo di specialità, al “lavoro fatto in questi anni”. Dominik beveva latte prima di ogni gara e, in accordo con il suo nutrizionista, gli abbiamo fatto cambiare alimentazione: per lui è stato l’inizio di un nuovo ciclo vincente. Christof Innerhofer? Potenzialmente potrebbe fare molto di più ma è la testa che fa sempre la differenza, in ogni disciplina». E poi per fare agonismo ad alti livelli oggi ci vuole davvero un fisico bestiale, parola del dottor Sci. «Con i materiali nuovi occorre molta più forza che in passato. Gli atleti d’oggi sono fantastici: con gli sci meno “sciancati” riescono a imboccare curve impossibili ma lì devi aumentare la forza e questo spesso comporta dei carichi di lavoro al limite della sopportazione».
L’usura da allenamento e le tante gare hanno come effetto collaterale il sensibile aumento degli infortuni. «Agli ultimi Mondiali juniores abbiamo avuto tre atleti con tibie fratturate al primo giorno e altri due al secondo. La media è di almeno quattro infortuni a stagione per gli atleti della prima squadra azzurra, con tibie e crociati da operare sistematicamente. E il 70% dei nostri atleti sono passati dal mio bisturi». Per quattro volte Schoenhuber ha rimesso a posto le fratture della nuova reginetta dello sci, la 26enne bergamasca Sofia Goggia. «L’ultima volta però non sono intervenuto chirurgicamente e per evitare complicazioni ho optato per una terapia che le ha permesso di tornare a gareggiare a 60 giorni dall'infortunio al malleolo.
Ai Mondiali di Åre Sofia ha perso l’oro per un centesimo... grandissima atleta ». Goggia è l’idolo di tante millennials che sognano di arrivare al vertice, ma questo significa entrare anche in un professionismo che spesso nuoce alla salute. «Il 30% della traumatologia distorsiva è il triste primato che lo sci condivide con il calcio. In quanto consulente delle giovanili del Milan, sono testimone di un “allarme infortuni” che riguarda almeno 7-8 ragazzini, tra i 1213 anni, che, ad ogni stagione, dobbiamo sottoporre a intervento chirurgico per la rottura dei crociati. E se a quell’età fratturi il crociato anteriore, la percentuale di recidiva è altissima e operarli di nuovo, senza compromettere la formazione delle cartilagini, diventa sempre più difficoltoso... Il vero problema da risolvere è alzare l’età dello sport di vertice a 16-17 anni, ma le pressioni di genitori e procuratori lavorano nella direzione opposta e tendono ad abbassarla ancora, anche sotto ai 12 anni».
Uno sport esasperato, sempre al limite e che innesca lo spettro del doping. «È una piaga che nello sci alpino, sì sa, esiste da sempre ed è difficile da debel-lare, anche perché l’antidoping ha un costo (400-500 euro per ogni controllo) che le federazioni non possono o non vogliono sostenere. In compenso abbiamo uno Stato che con l’obbligatorietà del certificato di idoneità fisica tutela la salute degli atleti. Come commissione medica, noi italiani abbiamo lavorato tanto e bene sulla sicurezza facendo introdurre l’obbligatorietà dei caschi e l’omologazione dei gusci alla schiena e degli airbag per gli sciatori. Ma tutto questo non elimina i rischi e pericoli di cui abbiamo parlato finora...». Parola del “Dottor Sci”.