«Risultati della Serie C in schedina», annunciava ogni tanto Roberto Bortoluzzi durante la cavalcata di emozioni di
Tutto il calcio minuto per minuto, e tutti lì a tendere l’orecchio per capire se si avevano ancora speranze di ricchezza, oppure per consolarsi con una presunta competenza sulle serie minori dopo avere sbagliato di netto il pronostico su Juventus, Inter, Milan. Era uno dei tanti piccoli grandi riti del weekend del Totocalcio, per oltre mezzo secolo parola magica dell’italiano medio diventata oggi un termine da modernariato. Quello comunque era ancora un sistema di scommesse umano e alla buona. Esiste ancora, la schedina, ma bisogna cercarla, nascosta in qualche angolo di tabaccherie che magari espongono ancora all’esterno quell’inconfondibile insegna, la scritta in corsivo gialla su un fondo verde scuro, ma tuttavia buonissimo per rappresentare il colore della speranza. All’interno, gestori che ne parlano rigorosamente al passato, che accompagnano i ricordi con un sospiro nostalgico e il presente come un peso, esattamente come si fa con i morti. Perché il Totocalcio, è clinicamente morto, da anni. I primi a comunicarlo, ad ammetterlo, sono proprio i Monopoli di Stato, l’ente centrale che dalla stagione sportiva 2003-2004 ha totalmente rilevato la gestione dell’ex gioco più amato dagli italiani dal Coni, che ne ha stragoduto per circa 55 anni gli effetti benefici della cascata di miliardi che ogni benedetta domenica si riversava sullo sport italiano, vissuto felice e (quasi) autonomo grazie a quella. Da tempo, e massime oggidì, il Totocalcio (e con esso il Totogol, fratellino minore nato nel 1994, ancora ostinatamente presente nella scheda a dispetto di montepremi fatti di briciole) è tenuto artificialmente in vita: la raccolta presso gli scommettitori spesso non copre neanche le spese di stampa, distribuzione, gestione informatica, burocrazia assortita, personale dedicato. Basta scorrere molto rapidamente, a grana grossa, i numeri per capire l’irresistibile discesa dell’«1X2»: dai 240 milioni del primo anno dei Monopoli, il 2004 (momento storico in cui, tra l’altro, il leggendario “13” viene abbandonato in nome della formula del “14”), ai 115 del 2008: da quel punto, la perdita ha cominciato quasi scientificamente a corrispondere al 20% annuo fino a giungere sul fondo dei 29,2 milioni dell’ancora fresco 2013, cifra pari a 56,5 miliardi di vecchie lire raccolta in 96 concorsi. Un bottino che all’apice della febbre della schedina sarebbe stata raggranellato (con fior di avanzo) in due tornate: il 5 dicembre 1993, con 34 miliardi 470 milioni e i consueti rotti, l’Everest dell’«1X2». Nei nostri giorni, invece, l’abisso: ma perché, tra la gratitudine di tutti e i meritatissimi tributi, il Totocalcio non si trasferisce in tutto e per tutto nel nostro passato? Dalla Aams (la sigla ufficiale dei Monopoli) traspare una volontà in secca controtendenza con l’arida logica del profitto e della fabbrica di soldi prodotta dalla “bisca Italia”: lo Stato riconosce e attribuisce al Toto un’importanza letterale, culturale, “fisica”, viene da dire, che fa sì che la sua sopravvivenza sia garantita al di là della comprovata antieconomicità. Fino a che in un singolo bar ci sarà un vecchio signore che si concentrerà a indicare doppie e triple, a quanto pare, il Totocalcio vivrà: è il vaso Ming, il Rembrandt all’interno dell’affollata e per certi versi squallida sala giochi dello Stivale. In realtà ci sono aspetti ben più materiali che, di fatto, hanno impedito il triplice fischio: su tutti, per esempio, gli impegni con le società di gestione (Lottomatica e Sisal su tutte) che, se disattesi prima del limite naturale, comporterebbero scomode e pesanti penali. Ormai la parte del leone la fanno slot machine e videolottery, le macchinette mangiasoldi, che raggranellano il 56% del fatturato. Seguono, nettamente distanziati, il gioco on line (16%), i gratta e vinci (12%), il Lotto (7%), le scommesse sportive (4%), Superenalotto e Bingo (2%) e le scommesse ippiche (1%). Così, la nuova, apparentemente ferrea politica della spending review potrebbe spingere il ministero dell’Economia, del quale i Monopoli sono un’emanazione, a decretare la fine del viaggio. Intanto, anche il 2014 è cominciato e il primo intertempo del mese di gennaio ha fatto segnare un -11,2%. Nell’ultimo giro di schedina, domenica scorsa, solo due “14”, con tanto di jackpot ereditato dai concorsi precedenti. «Il giuoco si chiude al sabato notte», recitava una immancabile scritta sul retro della schedina negli anni ruggenti. E per milioni di italiani, diventava una notte di speranze e di attesa, con la “figlia” nel portafoglio che era una sorta di assegno in bianco privo solo della firma - rarissima - della dea bendata. Ora, purtroppo, non rimane che attendere quale sarà il sabato notte in cui il “giuoco” Totocalcio chiuderà per davvero e per sempre. Sarà una notte senza sogni, sicuro.