Analisi. Destinati a donare gli organi, se “inutili” e senza figli: distopia del futuro
Al voto in Svezia: alcune scelte controverse possono passare anche dalle urne
Come ci si è arrivati non è del tutto chiarito. Un percorso soft e condiviso dall’esito agghiacciante: la separazione tra gli “utili” e i “dispensabili”, con un rigido sistema di impiego strumentale dei secondi a favore dei primi. La deriva di una società che vuole occuparsi dei suoi cittadini dalla culla alla tomba, a volte privandoli dell’iniziativa, e finendo con l’assumere un atteggiamento paternalistico in cui tutto è pianificato e obbligatorio per l’obiettivo della felicità generale. Il welfare scandinavo è stato un modello, ma ha pure suscitato fantasmi che la letteratura ha spesso infilzato con rara efficacia, dando così voce a temi condivisi della contemporaneità anche fuori dai confini angusti del Nord Europa.
Viene in mente L’uomo che voleva essere colpevole, (1973) capolavoro del danese Henrik Stangerup: in un sistema che nega la responsabilità individuale perché tutte le scelte sono dovute ai processi di socializzazione, è inutile punire gli autori di reati, serve piuttosto curarli e rieducarli con metodo scientifico. Si colloca in questa linea, l’inquietante e commovente romanzo di Ninni Holmqvist, L’Unità, pubblicato in Svezia nel 2006 e appena tradotto da Margherita Podestà Heir per Fazi (pagine 268, euro 18.50). Se lo Stato veglia su tutto ma l’individuo è libero di condurre la propria esistenza come preferisce, nessuno può sottrarsi prima o poi a un giudizio sul proprio percorso di vita. Chi ha scelto o non ha potuto avere figli, chi non svolge una professione indispensabile per i concittadini, chi non ha raggiunto risultati eminenti in qualche campo deve dare infine il suo contributo al benessere altrui.
Questa “compensazione” arriva verso i cinquant’anni e prende la forma dell’internamento in strutture speciali – le Unità – simili a hotel di lusso in cui ci si può dedicare agli sport e hobby più vari, dove non manca una fornitissima biblio-videoteca e ogni mese si festeggia con piatti di alta cucina e serate danzanti l’arrivo di nuovi ospiti. L’inizio del soggiorno non deve però ingannare. Ogni luogo è costellato di telecamere e microfoni, la sorveglianza è costante e minuziosa, come scopre subito la protagonista Dorrit, scrittrice single di scarso successo, che soffre soprattutto il distacco dall’amato cane Jock consegnato a una famiglia di vicini di casa. Lo scopo non è misterioso: nessuno deve commettere atti autolesionistici o tentare il suicidio. E il motivo è noto: i “dispensabili” sono destinati letteralmente a essere cavie per esperimenti scientifici alla ricerca di nuovi farmaci e, soprattutto, costituiscono serbatoi viventi di organi. Reni e polmoni vengono espiantati al bisogno, sino alla “donazione finale” che riguarda parti vitali assegnate a qualche “utile” a rischio di morte all’esterno (dei riceventi si vede la foto e si conosce la condizione).
Sembra la realizzazione di quel dilemma etico che si usa per mostrare come non sempre si possano valutare le azioni sulla base delle loro conseguenze. Assentireste a prendere una persona sana per strada e a sacrificarla per salvarne cinque che sono gravemente malate? Un’ipotesi che ci fa inorridire, sebbene sia coerente con uno stretto calcolo delle utilità complessive. L’antecedente letterario più famoso è ovviamente Non lasciarmi di Kazuo Ishiguro, uscito nel 2005 e forse una delle ispirazioni per Holmqvist, con la drammatica storia di un gruppo di ragazzi che si scoprirà essere cloni, generati solo per fornire “pezzi di ricambio”. Se L'Unità non raggiunge le vette espressive del romanziere premio Nobel nel 2017, ugualmente la vicenda di Dorrit tiene il lettore attento e avvinto fino all’ultima pagina, pompando empatia e speranza in un dipanarsi che non ha nulla di didascalico (viene il sospetto che il relativo successo dell’opera sia dovuto alla concezione “tradizionale” di femminilità e mascolinità che viene proposta). Colpisce la rassegnazione dei personaggi, consapevoli del proprio destino e in qualche modo “vittime volenterose”, forse convinte dall’ideologia dominante a non cercare nemmeno una ribellione morale (la resistenza fisica pare fuori portata).
Inevitabile pensare alla categoria della “cultura dello scarto”, denunciata a più riprese da Francesco, come «uno dei fenomeni più drammatici del nostro tempo, per il quale la società umana tende a mettere da parte tutto quello che non risponde ai criteri di efficienza, produttività, reattività, ma anche di bellezza, giovinezza, forza e vivacità». La prima occorrenza del termine nei discorsi papali risale al 16 maggio 2013, due mesi dopo la sua elezione, in un discorso a un gruppo di ambasciatori. Forse oggi anche il Pontefice potrebbe considerare questo libro, apparso sette anni prima, una denuncia efficace di quell’atteggiamento falsamente umanitario che non rispetta le individualità, soprattutto dei più poveri, ammantando per progresso un’insopportabile selezione a vantaggio di chi è favorito.