REPORTAGE. Tra boschi, monti e valli: il Sannio
Certi mattini d’inverno la nebbia riveste il Taburno fino alle cime con una coltre di vapori densi e minacciosi. Ma come riappare nel sereno, il massiccio si profila morbido e tranquillo sulle ampie valli che lo separano dai rilievi del Matese e del Partenio. I suoi boschi sono stupendi. In parte furono piantati da Ferdinando II per proteggere a occidente la sorgente del Gizzo, da cui il sovrano attingeva l’acqua per il reale palazzo casertano. Vi si respira un clima disteso, forse un poco straniato, talvolta, come di un luogo fuori dal tempo. Ai piedi sono frutteti, oliveti e soprattutto vigne, sul versante telesino, dove si producono vini pregiati, come la Falaghina e l’Aglianico. Salendo, si incontrano lecci, castagni, altissimi faggi, aceri, abeti. Ma lo spettacolo è in primavera, negli altopiani che ospitano immense distese fiorite di viole e di orchidee. Eppure il Taburno è fuori dai circuiti turistici, resta un territorio sconosciuto. «Negli anni Settanta il ministero per l’Agricoltura avviò un’ampia campagna di promozione – dice Gennaro Stanislao, operatore culturale, già presidente della Pro Loco del Taburno –. Realizzò una strada che tagliava da occidente ad oriente il massiccio, costruì un albergo, diede vita ad un villaggio sdemanializzando una vasta area della montagna. Sembrò che il luogo potesse, pur nel rispetto dell’ambiente, acquisire una fisionomia turistica, peraltro sobria, familiare. Tutto negli anni è andato ahimè perduto». Il Parco regionale del Taburno- Camposauro è sorto nel 2002, è storia recente. Lega i due corpi montuosi del massiccio, il primo verde e muscoso, il secondo arido e carsico con i suoi sassi di calcare bianco e grigio, le forre, i fossi ( il pozzo Tauto è tanto profondo che gli abitanti del posto l’hanno chiamato «occhio del mare»), le grotte che recano frequenti segni del culto micaelico. I paesi sono soprattutto a valle: Melizzano, col castello Caracciolo, che fu frequentato da grandi attori, come Totò, De Filippo, Mastroianni; Airola, con la chiesa vanvitelliana dell’Annunziata e soprattutto Sant’Agata dei Goti, di cui fu vescovo sant’Alfonso. La città si protende su di un sperone roccioso coi suoi vicoli silenziosi, i negozi con le insegne di un tempo, le costruzioni di tufo a strapiombo lungo gli argini del torrente Isclero e le belle chiese nobili e conventuali: La chiesa dell’Annunziata, fondata nel 1227, che presenta in controfacciata un Giudizio che è uno degli esempi più pregevoli di pittura tardogotica in Campania; quella medievale di Santa Menna, col bel pavimento di tipo cosmatesco; quella longobarda di Sant’Angelo in Munculanis; San Francesco con annesso chiostro, dove fu trasferito nel Settecento il sepolcro gotico di Ludovico Artus; Santa Maria del Carmine, dove ha sede il Museo diocesano. Il Duomo è del 970. Della struttura originaria resta l’atrio, ruvido e imponente. Sul versante occidentale del massiccio si apre la valle caudina. Fu abitata dai sanniti caudini, che avevano il loro centro a Caudium, villaggio nei pressi dell’attuale Montesarchio. Furono essi ad infliggere ai romani l’umiliazione delle «forche», nel 321 a.C., presso la Sella di Arpaia.Montesarchio è deliziosa. Una «città verticale», ha scritto Teresa D’Avalos. La si guarda puntando alla torre, che fu prigione di noti rivoluzionari, come Poerio, Pironti, Nisco. Il castello, restaurato da pochi anni, è sede del Museo archeologico nazionale del Sannio Caudino. Vanta una collezione preziosa di reperti dalla preistoria al medioevo, in particolare vasi a figure rosse, prodotti in Attica e nelle città greche dell’Italia meridionale. Ospita dal 2010 un suggestivo, originale "Percorso a misura di bambino", promosso da un gruppo di archeologi e storici dell’Associazione Origini. Il centro antico è di grande suggestione: abitati di pietra, scalette, anfratti, piccoli ponti, tranquilli cortili: un cono di case immerse nella luce. Qui tutto punta alla valle, anche le processioni che partono dalle chiese più antiche.
Le chiese le si incontra scendendo, ripercorrendo una storia millenaria: San Nicola entro le mura, Santa Maria delle Grazie, la Santissima Trinità, la Purità, la chiesa di San Francesco, dove una leggenda popolare vuole abbia sostato presso una colonna, per riposare, il povero d’Assisi; la chiesa-fortezza dell’Angelo, la chiesa dell’Annunziata col suo bell’organo settecentesco con 1049 canne. I cicini, i pirietti, i sicchi, le lancelle, i giarrunni testimoniano di un’antica tradizione nella lavorazione della creta.Tra Montesarchio ed Arpaia, lungo l’Appia è una discreta concentrazione di piccole industrie e magazzini. Non mancano nei dintorni centri antichi, come Cervinara, San Martino Valle Caudina. Ma nell’insieme la natura ancora sovrasta. E, si spera, ancora a lungo.