Aveva un viso sottile dominato da grandi occhi vivaci, proprio da «gatto lupesco», come si era definito in uno dei suoi versi: Edoardo Sanguineti conosceva i segreti grimaldelli della lingua, proveniva da studi vasti e profondi, con grandi maestri tra cui Giovanni Getto e Luciano Anceschi, e aveva una grande capacità di fare della letteratura un gioco, serio e provocatorio insieme. Si è spento ieri mattina all’ospedale di Genova dopo un intervento chirurgico (la procura di Genova ha aperto un’inchiesta per omicidio colposo). Aveva 79 anni ma era nel pieno di molti impegni letterari: aveva presentato a Bologna due suoi libri, un profilo di storia della letteratura,
Ritratto del Novecento, e il suo carteggio giovanile con Luciano Anceschi,
Lettere dagli anni Cinquanta, entrambi del 2009. Si preparava a partecipare al festival "Poestate" di Lugano, e a inaugurare a Genova, la sua città, il "Festival del pensiero comico", perché non lo spaventava essere eclettico e perché «far ridere è arma di potere», come scriveva proprio ieri sul
Corriere della Sera in quello che ormai è il suo ultimo articolo, intitolato, si può dire emblematicamente,
Homo ridens. La forza creativa e socialmente caratterizzante della risata è stato l’ultimo oggetto della sua riflessione, con qualche risvolto politico, legato al pericolo di chi inducendo al riso inganna, come volpe da cui è più difficile difendersi che dal leone. Dunque la fine lo ha raggiunto mentre ancora faceva progetti, incurante del peso degli anni: il prossimo 9 dicembre sarebbero diventati 80. Una vita fedele alla cultura, la sua, con una capacità di attraversare con l’inconfondibile stile pirotecnico tutti i generi, dalla poesia al teatro, al romanzo, al saggio, anche giornalistico, che non è da molti, anzi nella letteratura italiana è propria dei più grandi. Era poeta, critico militante, studioso di letteratura, con un amore speciale per Dante, di cui forse sentiva vicina la capacità di plasmare la lingua adattandola a ogni esigenza espressiva. A lui si devono importanti saggi come
Il realismo di Dante (1965) e
Dante reazionario (1992) e la bellissima elaborazione teatrale della prima cantica,
Commedia dell’Inferno, del 1989 (per un progetto in cui Mario Luzi si era dedicato al Purgatorio e Giovanni Giudici al Paradiso). In parallelo, non smetteva di studiare la poesia contemporanea, curando fra l’altro nel 1969 l’antologia
Poesia italiana del Novecento, una pietra miliare del genere.Docente di Letteratura italiana all’Università di Genova, allievo di Giovanni Getto con il quale si era laureato con una tesi proprio su Dante e di cui divenne assistente all’Università di Torino, il ruolo accademico per lui non fu mai il più importante, tanto che nel 2000 lasciò la cattedra, in segno di protesta contro l’istituzione. Teorico della letteratura, ebbe un posto importante nella formazione dell’antologia
I novissimi curata da Alfredo Giuliani nel 1965 e fu uno dei teorici, insieme ad Angelo Guglielmi, del «Gruppo ’63», tanto da essere considerato uno dei principali esponenti delle Neoavanguardie. Per lui la letteratura si doveva rinnovare abolendo ogni tradizione, sperimentando e legandosi alla vita politica, nel senso originario di relazione fra gli abitanti di una cosa pubblica. E infatti il suo impegno politico, che lo portò anche a essere parlamentare come indipendente del Partito comunista, è parallelo a quello letterario, un altro aspetto questo che lo avvicina a Dante. Insomma un intellettuale che sfugge alle gabbie definitorie, caratterizzato da una vastissima cultura, da un carattere giocoso e forte e un grande senso della libertà dello scrittore: un «chierico organico», per usare il titolo di un suo stesso saggio del 2000. In nome di questa libertà di pensiero e di stampa, nel 2007 difende Giorgio Forattini, colpevole di averlo ritratto in una vignetta in mezzo ai teschi degli studenti di piazza Tienanmen, con una falce insanguinata in mano: infatti Sanguineti li aveva definiti in un’intervista televisiva «poveretti, sedotti da mitologie occidentali». Ma soprattutto la sua strada poetica è quella di un precursore, anticipa le Neoavanguardie: il suo libro d’esordio,
Laborintus, esce nel 1956 ed è subito un modello per lo sperimentalismo in poesia. Un labirinto poetico che è una sorta di magma linguistico in continuo mutamento, mosso da fitti riferimenti letterari, di una razionalità colloquiante, nata dall’osmosi fra poesia e riflessione critica. L’ironia da
homo ridens vi aveva già un ruolo importante. Continuano su questa strada i due libri successivi,
Erotopaegnia e
Purgatorio de l’Inferno, che l’autore raccoglie insieme al primo nel volume composito
Triperuno, del 1964. Negli anni seguenti Sanguineti continua a esprimersi in versi lunghi, quasi infiniti, ma alternandoli sempre più con altri brevi, e gli spunti si fanno meno letterari e più realistici, legati al vivere quotidiano, alla famiglia, in un autobiografismo concreto che forse culmina nella raccolta
Cose, del 2001. Intanto erano tornate ancora le suggestioni dal Medioevo: nella raccolta
Bisbidis del 1987, che significa «brusio», «chiacchieric-cio», con parola del poeta di età dantesca Immanuel Romano, e in
Il gatto lupesco del 2002, il cui titolo riprende quello di un poemetto anonimo del Duecento ed è una «raccolta di raccolte», con testi dal 1982 al 2001, com’era sua abitudine. Con questo insieme di libri poetici vinse il Librex-Montale nel 2006, ma già nel 2003 gli era stato attribuito il premio Campiello alla carriera, un omaggio al suo valore inusuale di scrittore a tutto tondo.