Cinema. Con "Samad" dentro le scelte difficili di chi sta in carcere
Una scena del film "Samad"
Quanto è difficile rifarsi una vita dopo il carcere, farsi accettare dagli altri e, soprattutto, liberarsi da ciò che la prigione ha lasciato dentro di sé? Sono alcuni dei quesiti posti da Samad, in sala dal 13 maggio, il primo coinvolgente lungometraggio di Marco Santarelli, protagonista l’attore di origine marocchina Mehdi Meskar, nato in Italia ma che vive e lavora in Francia. Accanto a lui un intenso Roberto Citran nei panni di padre Agostino, Marilena Anniballi e Luciano Miele. Gli altri attori arabi arrivano sul grande schermo per la prima volta: alcuni di loro sono ex detenuti formatisi nei laboratori di teatro presso la casa circondariale “Dozza” di Bologna, altri sono giovani artisti marocchini del collettivo bolognese Cantieri Meticci. Il film è sostenuto da Antigone, l’associazione che si batte per i diritti e le garanzie nel sistema penale, ed è prodotto da The Film Club e Kavac Film con Rai Cinema. Samad (Mehdi Meskar) ce l’ha fatta. Ha pagato il suo conto con la giustizia e ora ha un lavoro da giardiniere, una nuova vita. Padre Agostino (Roberto Citran), suo amico e mentore, lo invita in carcere perché possa essere di ispirazione per i suoi compagni, come esempio di reinserimento, perché possa raccontare la nuova vita da uomo libero. Ma è la giornata sbagliata: una rissa fa esplodere la rabbia e il risentimento dei detenuti, che decidono di barricarsi nella biblioteca del carcere. Samad, che sta pensando alla conversione al cattolicesimo oppresso dai sensi di colpa per la morte della madre cristiana il giorno del suo arresto, si troverà a dover scegliere chi essere: musulmano o cristiano, complice oppure ostaggio. « Samad – racconta il regista Santarelli con alle spalle una lunga carriera come documentarista impegnato – nasce durante le riprese del mio secondo documentario in carcere: Dustur (Costituzione). L’idea mi è venuta filmando ore e ore d’incontri tra un volontario religioso cattolico, il monaco Ignazio de Francesco, e un gruppo di detenuti musulmani, su temi legati ai principi della Costituzione italiana e delle Costituzioni arabe. Un confronto non facile, tra due mondi molto diversi, sconvolti dall’attentato alla sede del giornale satirico di “Charlie Hebdo”.
È da qui che parte il film Samad, una visione sul tema della “sottomissione” e della radicalizzazione in carcere». Una storia dentro la galassia delle seconde generazioni arabe, raccontata dietro le sbarre di un carcere, in cui si inseriscono anche immagini delle vere rivolte nel carcere di Modena nel 2020 durante la pandemia. E dove ritroviamo a interpretare il duro capo dei rivoltosi anche il vero Samad Bannaq, protagonista del documentario Dustur in cui da ex detenuto portava la sua testimonianza di redenzione ai carcerati del Dozza di Bologna. «Il vero Samad l’ho conosciuto quando ho girato il mio primo documentario alla Dozza nel 2011 dove era detenuto. Poi è uscito, è riuscito a rifarsi una vita ed è nata una amicizia fra noi. Anche i suoi racconti sono stati di ispirazione per il film» spiega il regista. Il Samad del lungometraggio è un ragazzo di seconda generazione che non ha paura di guardarsi dentro per trovare la sua libertà ma non riesce a trovare il coraggio di tradire i suoi ex compagni. «Un film che ha l’ambizione di spingersi oltre i confini del bene e del male in un mondo fatto di rabbia, paura, speranza. Un duro e lungo viaggio alla ricerca di una pace che per Samad diventerà anche la sua condanna» aggiunge Santarelli. Il quale frequentando i volontari della Dozza ha incontrato una persona che lui definisce “fondamentale”, padre Ignazio de Francesco (a cui si ispira il padre Agostino del film) monaco della Piccola Famiglia dell’Annunziata, la comunità fondata da Giuseppe Dossetti, che lavorava con l’area pedagogica del carcere bolognese e di cui il regista ha seguito gli incontri sul tema della costituzione. «Il film parla di conflitti che alimentano rabbia e vittimismo. Sentimenti che in carcere sono esasperati – aggiunge Santarelli –. L’idea della rivolta in carcere nasce perché durante uno degli incontri di Dustur si era accesa una discussione fortissima sull’apostasia. Per me è stata una esperienza formativa personale forte. Sono rimasto colpito dalla capacità di padre Ignazio di dialogare con un mondo distante, dalla sua forza e dalle sue competenze, e anche da come si fidavano i ragazzi. Alla fine loro hanno scritto una loro piccola Costituzione. All’interno del carcere vittime e carnefici sono la faccia della stessa medaglia, schiavi di un sistema di potere che si fonda sulla violenza».
Il 13 maggio il film verrà proiettato in anteprima al cinema Corso multisala di Piacenza e anche nel carcere cittadino dove sono state girate alcune scene del film (l’idea è quella di portarlo anche in altre carceri italiane), il 14 maggio sarà a Bologna e dal 20 maggio al cinema Tivoli a Roma.