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Piccolo Principe. Anche Parigi celebra la grandezza bambina di Saint-Exupéry

Daniele Zappalà sabato 26 febbraio 2022

L’acquerello di Saint-Exupéry “Un giorno ho visto il sole tramontare 44 volte”

Ricami minuti di parole, ghirigori e disegni sottili, su fogli e biglietti leggeri fin quasi alla trasparenza. Come se lasciare un’impronta più profonda del dovuto, fra le lande sconfinate ed eterne che abbracciano provvisoriamente ogni esistenza, fosse il più imperdonabile dei peccati. Un condizione, al confine dello stato aeriforme, che sempre suggeriscono le tracce materiali lasciate dalla creatività del francese Antoine de Saint-Exupéry (1900-1944). E coerente con tutto ciò, a pensarci bene, è la sensazione che Il Piccolo Principe continui a posarsi sul cuore di milioni di lettori con la leggerezza d’una farfalla. In tutto il mondo, ben 5 milioni di copie vengono vendute ogni anno del capolavoro pubblicato nel 1943 e tradotto in 500 lingue e dialetti. Ma, ragionando un attimo come farebbe l’autore in questione, perché parlarne? È forse un fatto importante di cronaca l’imperturbabile costanza di questo successo? Il Piccolo Principe, con la sua filosofia sfuggente, è fin qui riuscito mirabilmente a dribblare ogni tentativo di classificazione sferrato da quell’immaginazione inaridita dell’umanità adulta alla quale Saint-Exupéry cercò di sfuggire per tutta la vita. Una favola per ragazzi? Di fronte alla portata poetica del volumetto, definirlo così suona quasi come un affronto. Un classico della letteratura francese? Neppure, a dire il vero, se si pensa ad esempio che fu scritto su pressante richiesta di un editore americano, Reynal & Hitchcock, nel periodo dell’esilio di Saint-Exupéry negli Stati Uniti. Del resto, in Francia, Il Piccolo Principe venne pubblicato solo nel 1946 e ancor oggi i mano-scritti sono conservati al di là dell’Atlantico. I fondali più profondi della genesi del libretto prodigioso resteranno probabilmente un mistero, come del resto Saint-Exupéry auspicava.

Antoine de Saint-Exupéry nel 1942 - © Coll. Succession Saint Exupéry-d’Agay

Per chi volesse lo stesso ficcanasare un po’ nell’etereo brodo cosmico dell’immaginario dello scrittore, ha aperto le sue porte a Parigi la mostra À la rencontre du petit prince, presso il Museo delle Arti decorative, ospitato in un’ala del Louvre. Si tratta di un omaggio alla creatività e ai talenti d’un uomo dalle sfaccettature imprevedibili: scrittore e poeta, disegnatore compulsivo e leggendario aviatore, esploratore impenitente e persino inventore, saccopelista nell’anima nonostante i natali aristocratici, conservando sempre le convinzioni umanistiche maturate fin dall’infanzia, attorno a valori cardine come la fratellanza, la fragilità umana, il sublime dei paesaggi terrestri. Sono oltre 600 i pezzi che i curatori hanno selezionato, fra cui i fogli manoscritti originali del capolavoro giunti dagli Stati Uniti e mai esposti in Europa. Ma dal percorso, organizzato in 8 sequenze tematiche (infanzia, aviazione, fatale incidente del 1935 in Egitto, disegni, impegno militare, manoscritto del capolavoro, arruolamento nella Seconda Guerra Mondiale, successo internazionale), si esce alla fine soprattutto con la sensazione di ritornare a ciò che ogni lettore di Saint-Exupéry in fondo poteva ben intuire da solo: davvero vano è cercare d’inquadrare e imbrigliare l’autore in periodizzazioni letterarie, movimenti artistici, gusti e mode di un’epoca.

Se Il Piccolo Principe continua a sorvolare allegramente ogni stagione editoriale, è forse proprio perché con tutto ciò ebbe poco a che spartire. Il che non significa che Saint-Exupéry fosse un personaggio separato dal proprio tempo. Proprio il contrario, anzi, se si pensa solo allo spirito d’abnegazione con cui tenne a partecipare da semplice volontario alla Seconda Guerra Mondiale, morendo mentre sorvolava il Mediterraneo. E al fatto che si recò negli Stati Uniti per convincere il governo americano a partecipare al conflitto che dilaniava l’Europa. Consapevole come pochi altri delle brutalità di un secolo sopraffatto dal meccanicismo e da così tante altre ideologie fra loro intrecciate, Saint-Exupéry conservò fino all’ultimo la ferma convinzione che ogni vero umanesimo non può mai allontanarsi troppo dalla spontaneità di un’immaginazione ancorata ai sogni dell’infanzia. Qualcosa di definitivamente infantile emana pure dagli occhi di Consuelo, la moglie salvadoregna, pittrice e scultrice, a cui restò legato fino alla fine, nonostante una vita costellata di voli, raid e avventure d’ogni tipo. E la mostra parigina, che resterà aperta fino al 26 giugno, ha pure il merito di mettere in risalto la profondità di questo legame coniugale costantemente ispiratore. Nell’aprile del 1943, proprio mentre Il Piccolo Principe esce negli Stati Uniti, lo scrittore scrive alla moglie dall’Algeria, dov’è impegnato in guerra: «È troppo facile firmare dei manifesti, come quello stupido di André Breton. Pulcino mio, se vengo ucciso, sarai comunque felice di sapere che sono il solo, nella banda di chi sbraitava, ad aver lasciato New York. E che ho rifiutato tutti i posti (propaganda e altri) per scegliere un ruolo molto semplice che è di farmi tirare addosso. È sano, pacifico, appena malinconico. Necessario per la salute del mio cuore».