«Una lingua lapidata / che sprofonda nel mondo» è quella araba che non ha più voce in una Damasco ferita e bombardata. L’ha scritto il poeta Adonis che per non far tacere quella lingua ha deciso di rielaborare il lutto delle stragi odierne sostituendo il genere lirico con quello degli antichi filosofi greci, il dialogo: un modo per spiegare le sue ragioni di «una primavera senza rondini». Così l’intellettuale siriano definisce il movimento arabo recente. «All’inizio la sollevazione faceva pensare a un bellissimo risveglio» spiega nel dialogo con la psicanalista Houria Abdelouahed. Col significativo titolo
Violenza e islam rinvia al precedente
La preghiera e la spadae propone una radiografia impietosa ma meditata della «storia di un regime dittatoriale, non di un popolo». «Gli eventi successivi hanno mostrato che la primavera araba non era una rivoluzione bensì una guerra, che invece di indirizzarsi contro la tirannia si è trasformata in tirannia». Alì Ahmad Sahid Esber, il suo vero nome, dall’osservatorio di Beirut e ora di Parigi, restituisce al lettore lo sguardo disincantato di chi non vuole fare giri di parole e ne sceglie di affilate e dure con cui scavare nelle ragioni di quel fallimento: secondo lui «la rivoluzione è andata a cozzare contro le eterne questioni della religione e del potere» mancando «una riflessione sul modo in cui fondare una società civile». Nell’itinerario a ritroso che il poeta ripercorre per fare piena luce sull’identità araba emerge l’elemento deficitario: la mediazione culturale: «L’entità di una rivoluzione dipende dalla qualità dei rivoluzionari, dalla loro cultura, dal loro atteggiamento nei confronti della laicità. Quel che è accaduto dimostra regressione, ignoranza, oscurantismo religioso» fondati anche sul silenzio imposto al pensiero mistico e alle radici storiche delle rivolte 'nere' degli Zanj o di quelle protosocialiste dei Carmati. Una visione complementare a quella di Franco Cardini sui jihadisti per lui postmoderni e occidentalizzati, nel libro
L’islam è una minaccia. Falso, in uscita da Laterza. Le parole di Adonis demoliscono per ricostruire, a cominciare dal «dovere» di ripensare i fondamenti della religione musulmana su donne, schiavitù, filiazione, perché «una rivoluzione che si conclude con la nascita dell’Is rende urgente un ripensamento» anche su «regimi burattini in mani straniere» che lasciano campo di manovra all’Is, legati a «un passato che non passa». In questo caso il passato è costituito da «una violenza che dal 421 dell’anno islamico, dal regno di Mu’awiya a Damasco, è diventata struttura religiosa, politica e sociale» tanto forte da occupare i versetti del Corano e divenire sacra. Abituato a pagare con l’esilio la sua indipendenza intellettuale, Adonis riflette sui testi sacri: «Il Corano, posteriore al Cristianesimo, non ha preso la bontà di Cristo, ma l’odio dell’Apocalisse ». Non perde però la speranza: «Se l’Is fosse il canto del cigno di questo Islam? ». Adonis torna idealmente a Damasco, simbolo del mondo arabo insanguinato che aspetta una primavera piena di rondini, come «un tetto / in attesa del nascituro».
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VIOLENZA E ISLAM Conversazioni con Houria Abdelouahed Guanda. Pagine 192. Euro 14,00