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Sul palco. Ruggero Cappuccio: «Il teatro italiano riparte da Napoli»

Angela Calvini martedì 9 giugno 2020

Il regista Ruggero Cappuccio

Ben 130 spettacoli, fra concerti, mostre e prosa, fra grandi nomi e decine di compagnie giovani: il Napoli Teatro Festival Italia parte il primo di luglio con un entusiasmo e una potenza di fuoco impressionanti considerata la crisi causata dall’emergenza coronavirus. Napoli, quindi, si pone come traino per la riapertura dei teatri del prossimo 15 giugno, proponendo spettacoli in sicurezza in ampi spazi dal fascino antico come i cortili di Palazzo Reale, del Museo di Capodimonte e di Palazzo Fonti e nel resto della regione come l’Anfiteatro di Santa Maria Capua Vetere, l’anfiteatro di Pietrelcina, il Duomo di Salerno.

La poderosa kermesse, prodotta dalla Fondazione Campania dei Festival e sostenuta dalla Regione e dal Mibact, durerà dal primo al 31 luglio, per la sezione italiana, mentre quella straniera è stata rimandata a settembre. L’evento clou sarà un concerto del maestro Roberto De Simone dedicato alle vittime del coronavirus, una riscrittura della Sonata in si bemolle minore di Chopinal teatro San Carlo di Napoli il 26 luglio. Fra gli ospiti Sillvio Orlando, la compagnia Lombardi–Tiezzi, Vinicio Marchioni, Lina Sastri, Francesco Montanari. Pippo Delbono con Enzo Avitabile. Il tutto a prezzi popolari, dato che i biglietti del Festival costano 8 euro, 5 per gli under 30 e gratis per chi vive con la pensione sociale. Come si organizza la ripartenza, lo chiediamo al regista e scrittore Ruggero Cappuccio, da quattro anni direttore artistico del Napoli Teatro Festival Italia.

Maestro Cappuccio, come riuscite a organizzare un festival di queste dimensioni in questo momento storico?

«Il nostro festival doveva iniziare a giugno, dopo lunghe riflessioni lo abbiamo riprogrammato al volo su luglio per la sezione italiana, mentre per motivi logistici abbiamo rinviato a settembre gli stranieri. Faremo tutto all’aperto, rispettando le norme dettate dal Governo. È importante ripartire, innanzitutto perché il teatro, se sta fermo, si arrugginisce. In secondo luogo perché in questo Festival lavorano centinaia di persone, solo i lavoratori campani sono 994. I teatranti, gli autori, i tecnici, gli elettricisti, i facchini sono persone duramente provate da questa crisi e quindi era importante riaprire».

Quanto il teatro è importante anche per gli spettatori?

«Nei giorni siamo stati tutti a casa, la psiche l’abbiamo curata con dei film, con dei libri, con il teatro, con delle visite virtuali ai musei. Abbiamo curato la psiche con la cultura. Ed è importante che si torni alla partecipazione dal vivo. Hanno riaperto centri estetici, barbieri, bar dove il distanziamento è affidato all’autocoscienza del singolo, mentre a teatro io posso organizzare chi si siede in quale posto e in quale fila. L’anno scorso abbiamo avuto 80.000 spettatori. Quest’anno saranno per forza meno, perché abbiamo dovuto ridurre il numero di posti, ma lavoreremo anche in streaming con spettacoli gratuiti sul sito della Regione Campania».

Cosa proporrete?

«Si tratta di un calendario ricco, questo festival è una garanzia di libertà per gli artisti. Diamo grande spazio ai drammaturghi contemporanei, l’anno scorso erano l’80% degli autori rappresentati. Questo è un altro strano fenomeno del nostro Paese: Gioacchino Rossini all’età di 24 anni entrò al Teatro Argentina di Roma e vi rappresentò Il barbiere di Siviglia. Adesso è impensabile pensare di far debuttare alla Scala un ventiquattrenne. Mi domando, a questo punto, chi siano davvero i moderni».

Quanto coraggio ci vuole a ripartire con un festival teatrale oggi?

«È importante, soprattutto, che dal Sud venga lanciato immediatamente un messaggio di rinascita. Il nostro, per quello che concerne i festival di teatro, è il più esteso è più complesso. I festival teatrali in Italia sono rimasti pochissimi e questa cosa mi dispiace. Il titolo adatto per tutti è: il coraggio e la paura. Il coraggio si rende necessario quando c’è lo spettro della paura. Sono due cose intimamente connesse».

Cosa deriva dall’esperienza di questi mesi?

«Il segnale più rilevante è che l’universo è fondato sul ritmo e sul tempo. Questo tempo dell’universo lo paragonerei a una grandissima compagine orchestrale. Se alcuni membri vanno fuori tempo, il direttore ferma l’orchestra e dice: questo partitura non va. Gli esseri umani sono andati fuori tempo, noi dentro la testa abbiamo cominciato a stonare. Questa corsa forsennata è un peccato del capitalismo globale, il tempo che brucia le nostre vite... ci hanno spinto a correre e, correndo, a creare delle devastazioni. Questo sarà anche il tema del mio spettacolo che proporrò a settembre con la regia di Jan Fabre: Resurrexit Cassandra. Una Cassandra contemporanea racconta gli uomini come lei si sia reincarnata in diverse epoche: è stata un’aristocratica, una prostituta, una deportata in campo di concentramento. Lei torna per fare un discorso all’umanità e avvertirci del disastro cui andiamo incontro. Un ultimatum: o le crederemo, o saremo destinati alla morte».

Tornerà a fine anno il teatro sociale di “Quartieri di vita”?

«Abbiamo lavorato con le donne vittime di violenza, con i rifugiati politici con gli immigrati, con i detenuti del carcere minorile di Nisida, con i non vedenti, con il Nuovo Teatro Sanità, con il Nest di San Giovanni a Teduccio. Continueremo in questa scia. Questo è un festival sociale in cui si dice: guardate che l’arte e l’economia non sono due cose diverse. L’arte e la fragilità umana non sono due cose diverse»

© RIPRODUZIONE RISERVATA Si rialzano i sipari Il Napoli Teatro Festival al via dal 1° luglio con ben 102 fra spettacoli, mostre e concerti Il regista: «Importante messaggio di rinascita anche per i lavoratori» Il regista Ruggero Cappuccio / Cerzosimo