Calcio. Rodri: «Grato a Dio per i doni ricevuti, gli infortuni fanno parte della vita»
Rodri, 28 anni, fuoriclasse del City e della Nazionale spagnola, Pallone d'Oro 2024
Non ha profili social, non sfoggia look stravaganti, non ostenta bolidi su quattroruote, sfugge alle voci del gossip. Il 2024 del pallone ha consacrato un giocatore ben lontano dai modelli attuali del calciatore affermato. Per Rodrigo Hernandez Cascante, in arte Rodri, è stato ancora un anno di grandi soddisfazioni: dopo l’apoteosi del gol vittoria nella finale di Champions contro l’Inter, nel 2023, sono arrivate altre gioie incredibili. Oltre alla conquista della Premier League con il Manchester City, il trionfo agli Europei con la sua Spagna e dulcis in fondo il Pallone d’oro. Sebbene a settembre abbia rimediato un grave infortunio al ginocchio che lo costringerà a stare fuori tutta la stagione. Parliamo però di un ragazzo consapevole che la vita può regalarti picchi di felicità ma anche di amarezza. Il centrocampista madrileno ha dimostrato di avere una maturità interiore capace di far la differenza in campo e fuori. Toccante e controcorrente anche il discorso con cui ha accolto il Pallone d’oro. Ha ringraziato in primis la sua fidanzata e la sua famiglia «per tutti i valori che mi hanno trasmesso, per avermi aiutato fin dall’inizio a non confondermi, a seguire i passi corretti per essere quello che sono: un uomo, una persona che gioca a calcio per amore». Poi certo la sua squadra, gli allenatori, i compagni di squadra… Però ha sorpreso molti quando ha aggiunto: «Voglio ringraziare Dio, sappi che se perseveri e mantieni i tuoi valori, Dio ti ricompenserà sempre».
Ma non era la prima volta che manifestava la sua fede. Lo aveva fatto già dopo la vittoria dell’Europeo: «Nella vita e nel calcio, quando fai bene le cose, Dio ti ripaga». Un campione capace di alzare lo sguardo, ripensando alla sua carriera, in cui ha sempre cercato di conciliare pallone e studio, come volevano i suoi genitori. È riuscito in entrambi: laurea in economia e vertici del calcio. Dalle giovanili del Rayo Majadajonda all’Atletico Madrid e al Villarreal prima dell’approdo al Manchester City per 70 milioni di euro. Ma senza dimenticare le difficoltà degli inizi come quando chiamò il papà piangendo pensando che «tutto fosse finito» e il padre lo incoraggiò a continuare a lavorare sodo. Un aneddoto che ha svelato aggiungendo: «Questo dimostra che un ragazzo normale con valori, che studia, che cerca di fare le cose per bene, che non si lascia influenzare dagli stereotipi fuori dal calcio, può arrivare in alto».
Una scalata vissuta sempre custodendo gelosamente i suoi affetti più cari e privilegiando i contatti reali: «Lo so che le persone non mi capiscono per la questione dei social. Non ho social, mi piace lo sport, mi piace la mia professione, cerco di essere la parte migliore di me tutti i giorni, cerco di essere gentile con i miei compagni e di essere un leader. Sono un ragazzo normale. Tutti possiamo migliorare in qualsiasi aspetto della nostra vita. A volte mi arrabbio anche io. Sono un ragazzo semplice, non devi essere per forza matto, puoi essere un esempio di successo anche essendo te stesso. Questi valori sono fondamentali per me». È un concetto ribadito più volte «Da quando ero bambino, ho semplicemente inseguito un sentimento. Non ho detto: “Oh, voglio diventare un calciatore per avere una Ferrari”. No, è stato perché ciò che i miei eroi facevano in campo mi faceva sentire vivo». Trionfi e cadute ma sempre con una certezza: «Nei momenti belli non impari, ti diverti e basta. Nei momenti brutti, quando soffri davvero, è allora che cresci davvero ». Guardare oltre è la lezione di chi in campo come fuori è pronto a dribblare anche le avversità: «Sono una persona che affronta le cose così come vengono. Sono sempre stato grato per ciò che Dio mi ha dato, per quello che sto facendo nella mia carriera, e so che gli infortuni fanno parte del percorso».