Qualche tempo fa Adriano Celentano divise il mondo in due: di qua il 'rock' e di là il 'lento'. Un autentico tormentone, destinato a separare, come in un grande gioco da salotto collettivo, famiglie, gruppi di amici, comunità. Tutti a inseguire l’incasellamento, ma con grande indulgenza verso sé stessi: chi non si dichiarava 'rock', anche se aveva sempre amato Domenico Modugno o Claudio Baglioni? Il primo al massimo un proto rock, per la sua iscrizione di diritto nel club degli 'urlatori'; e il secondo un post rock, per essere divenuto a furor di pubblico, l’icona italiana del 'pop'. Eccola la categoria, moderna e post moderna, più resistente alle mode, quella che imperversa sulla scena culturale da cinquant’anni, pronta a contagiare tutto quello che può. Perché se la Pop Art ha avuto un genio assoluto come Andy Warhol (quale donna non ha sognato, almeno una volta, di essere ritratta come Marilyn, alla maniera del pittore americano?) è pur vero che il 'pop' come categoria culturale, non ha trascurato nessun tipo di contaminazione. E come potrebbe, se la sua radice è appunto nella dimensione popolare? Non era proprio Warhol a indicare nella Pop Art il portato di un consumo di massa, al pari di qualunque altro prodotto della società di massa? Basta ricordare i suoi 'multipli' delle bottiglie di Coca Cola o dei barattoli di Campbell’s per cogliere la funzione della cultura 'pop' come linguaggio di una democrazia sociale figlia del boom economico. Altri tempi, si dirà. Forse sì. Ma di sicuro, in questo nostro mondo in cui il nuovo fa una fatica titanica a emergere, fa una certa impressione vedere la categoria del 'pop' inanellare successi a ripetizione, conquistando militarmente tanti altri campi, persino quello della politica, immancabilmente vincendo la partita con il suo antagonista naturale, il 'classico'. Ma se c’è un dato di fondo che fa da ponte fra le origini del fenomeno e la contemporaneità è certamente quello dell’esplosione della società della comunicazione, con i suoi stilemi e persino i suoi tic. E in questo spazio un ruolo decisivo lo ha assunto la televisione, che ha portato a compimento due paradigmi: il 'fatto' non esiste se la tv non l’ha fatto vedere, il personaggio non esiste sulla scena pubblica se non ha il suo spazio sul piccolo schermo. Non è in gioco né la credibilità né la forza delle idee. Semplicemente la persona stessa, per divenire 'pop', deve essere 'usata' e 'trattata' dal media per eccellenza, e 'consumata' dal pubblico, al pari di qualsiasi altro prodotto di massa. Detto questo, appare sicuramente più comprensibile come oggi i più grandi fenomeni del 'pop' contemporaneo abbiano bisogno assolutamente della macchina informativa e massmediatica per divenire tali. Sino al punto che talvolta la stessa narrazione pubblica coincide esattamente con il media stesso. E’ il caso ad esempio della politica 'pop', in cui la proposta politica lascia spazio al racconto popolare, per immagini e parole, della vita del leader politico di turno. Si è detto più volte, nei giorni convulsi della recente campagna elettorale europea, che abbiamo vissuto le prime 'elezioni pop' della storia della Repubblica. Con settimane di inchieste, di lettere private e di narrazioni pubbliche, di intrusioni intime e di repentine smentite, di interviste al limite del fantasy e di minacce più o meno serie. Tutto attorno alla figura del premier, di sua moglie, delle di lui frequentazioni e delle relazioni familiari. Insomma un grande racconto popolare in cui, forse per la prima volta, la carta stampata ha cercato di rubare spazio alla televisione. Sempre, però, dentro lo schema della 'politica pop'. Le radici di questo fenomeno sono lontane: qualcuno, come il filosofo Maurizio Ferraris le fa risalire persino a Sandro Pertini: 'Lui che esulta sugli spalti del Bernabeu, accanto al re Juan Carlos, nella finale del Mundial ’82, è un tipico grande esempio di politico pop. Traghettava se stesso dalla lotta partigiana ai campionati di calcio'. Accennata una possibile genealogia italiana, resta il presente, con l’estensione della 'politica pop' in tutto il mondo: da Zapatero a Sarkozy, da Obama a Chavez. Ma ora basta con la politica, e cerchiamo piuttosto di decifrare la costruzione dell’icona pop contemporanea, in un altro campo, quello a cavallo fra la letteratura e il cinema. Sino a lambire, come qualcuno ha intuito, persino la società e la religione. Di sicuro sono 'pop' il maghetto Potter e il vampiro buono, l’Edward di Twilight. Due autentiche icone, nate rigorosamente in ambiente anglosassone. Entrambi nati da una saga letteraria, con una forte connotazione fantasy, ma capaci di evocazioni di vario genere: dal sociale al religioso. Basti pensare che nel caso di Twilight c’è chi vi ha letto addirittura il tentativo di riproporre la storia e l’attualità dei Mormoni, partendo dall’assunto che l’autrice Stephenie Meyer è appunto una sostenitrice della Chiesa dei Santi degli ultimi giorni. Così come, nel caso del maghetto, la costruzione della saga sembra rispondere alla necessità di riproporre in chiave moderna l’archetipo più antico del mondo: la lotta fra il bene e il male. Dunque, non tutto è ciò che appare. E al di là del fenomeno mondiale legato al merchandising, resta l’icona pop a occupare l’immaginario pubblico, per il tempo necessario a costruire un impero economico, ma anche a modificare sottilmente il senso comune. Basti pensare alla psicodramma collettivo e globale che va in scena da giorni, dopo la morte di Michael Jackson, l’icona pop per eccellenza dello star system americano. Poi possiamo interrogarci a lungo su chi e cosa siano 'pop' o 'classico' fra Bocelli e Muti, fra 'La dolce vita' e 'Il Divo', fra Saviano e Arbasino, fra la botton down e la t-shirt, fra il Mc Donald’s e lo slow food, fra Madonna e il Boss, fra il Suv e la stationwagon, fra il cd e il vinile. Ma alla fine, in mancanza di meglio, ci toccherà augurare lunga vita al 'pop'. Rassegnandoci anche noi forse a cambiare, a divenire un po’ più 'pop' e forse meno 'classici'. Perché il 'pop' ha già vinto, anzi ha stravinto il confronto. Michael Jackson sta lì a dimostrarlo, anche ai più increduli.